La competizione elettorale regionale ripropone un vecchio tema: il ponte sullo Stretto. Tema, anzi, antico. Anche prima di Cristo, infatti, il ponte fu argomento «à la page» e fu momentaneamente realizzato dai Romani con piattaforme galleggianti nel 251 a.C. circa. Serviva, dopo la vittoriosa battaglia di Palermo contro i Cartaginesi, a traghettare gli elefanti bottino di guerra. Almeno, così ci racconta Plinio il Vecchio nella sua Naturalis historia e non abbiamo ragione di dubitarne. Da Carlo Magno a Ferdinando II di Borbone, da Francesco Rutelli a Silvio Berlusconi, sino a Matteo Renzi, il ponte sullo Stretto ha congiunto i sogni di molti. Certo, le ragioni a favore sono tante e le esigenze correlate – a partire dalle infrastrutture sulla terra ferma per l’accoglienza dei mezzi di trasporto – molteplici e onerose. Ma c’è un vantaggio su cui – avendolo individuato tempo addietro – mi sembra utile tornare: il Ponte sarebbe un poderoso strumento antimafia. Ma come? Non farebbe gola agli epigoni di Cosa nostra? Certo, criminalità organizzata e corruzione sono sempre acquattate per ghermire i grandi appalti. Ma, va da sé, uno Stato che si rispetti non potrà limitare i propri progetti per timore della malavita. Deve impedirle l’accesso. Quindi diamo per superato questo ostacolo e andiamo avanti. Mafia e antimafia continuano ad essere argomenti del giorno e, seppure profondamente modificati nel tempo, non si possono tralasciare. Si polemizza più sulla seconda, l’antimafia, che sulla prima, ma questo scenario lascia intatta la condanna della Sicilia a mantenere su di sé l’ombra identitaria di Cosa nostra. Esistono parole che possiamo definire assorbenti, il cui concetto, cioè, ne evoca e ne contiene un altro. La parola mafia evoca e contiene la Sicilia e di conseguenza la parola Sicilia proietta l’ombra permanente della mafia. Parlare di Sicilia e tralasciare la mafia, infatti, è tanto inaccettato che è ritenuto da chi «campa» di antimafia una colpa a volte grave. Certo, sarebbe «sfizioso» meditare sul perché Luigi Pirandello, nella sua pur sterminata Opera, non abbia mai citato la parola mafia. E dire che i suoi furono i tempi del prefetto Cesare Mori in Sicilia. No, Pirandello non ne ebbe bisogno per conquistare spazio e attenzione sulle proprie pagine. Ma questo è un altro tema. Lasciamolo qui. Mafia, dunque. È una parola assorbente della parola Sicilia. E ciò, a quel che resta di Cosa nostra e alla criminalità organizzata – che alla mafia somiglia, ma che mafia non è perché ha perso il favore ambientale di un tempo - arreca molti vantaggi sia in termini di intimidazione che di ineluttabilità. Ma che c’entra il ponte di Messina con l’antimafia? Come si collega alla rottura ideologica per transitare da contro la mafia a senza la mafia? Beh, se la lotta alla criminalità manterrà l’attuale statura, sarà utilissima la prevalenza di un’altra parola assorbente, un’altra parola che, come sino ad oggi la mafia, evochi e contenga la parola Sicilia. Una parola che divenga la sua nuova ombra e che, di conseguenza, depotenzi l’ombra precedente costituita dalla mafia: la parola «ponte». Quanti sapremmo pensare Brooklyn senza il suo ponte e quanti l’Egitto senza le piramidi? Parole e immagini, quindi entità pensate, che ci relazionano con un luogo e ce ne danno il sapore prevalente. Oggi il profilo dominante della Sicilia è ancora la mafia. Ma se domani fosse il ponte sullo Stretto a identificare la Sicilia nel pensiero dei più, la mafia avrebbe una sempre minore rendita di posizione e la Sicilia sarebbe sempre più libera.