Forse l’etica è una scienza scomparsa dal mondo intero. Non fa niente, dovremo inventarla un’altra volta. Jorge Luis Borges è passato a miglior vita da oltre 30 anni. Eppure del suo auspicio, almeno alle italiche latitudini, sembra essere rimasto solo… l’epitaffio. Perché l’amara constatazione di un Paese in cui la corruzione a vasto raggio costituisce la regola e non certo l’eccezione ha scardinato la logica della straordinarietà, per incanalarsi sui binari dell’ordinaria (mala)amministrazione. L’ultimo caso non è peraltro, nell’immaginario generale, il più sorprendente né tanto meno il più originale. Lo stereotipo delle Università baronali e nepotiste ha purtroppo trovato (si spera, o ci si illude, solo parzialmente) ampio riscontro nelle maglie di un’inchiesta che, in attesa di sviluppi - e soprattutto sentenze - scoperchia un pentolone dentro al quale rischiano di finire cotti e stracotti secoli di credibilità e affidabilità accademica. Nessuno, leggendo le cronache che raccontano di telefonate ammiccanti e torbidi accordi, si lascia sfuggire un oh di meraviglia, se non per buttarla sul sarcasmo. E questo rende ancora più amara ogni riflessione sul tema, secondo il più classico del non sempre demagogico «tutti sapevano, nessuno parlava». Semmai ci sarebbe a lungo da riflettere sul fatto che a parlare sia stato un ricercatore con sangue anglosassone nelle vene e adesso sui social issato a vessillo dell’Italia che non ci sta. Quella stessa Italia in cui però il cancro corruzione non risparmia praticamente alcuna categoria, alcuna area territoriale. Il blitz contro la ‘ndrangheta che ieri ha portato in carcere 24 persone, fra le quali il sindaco di Seregno (non esattamente un comune del mafioso e connivente Mezzogiorno dei luoghi comuni), dimostra ancora una volta – soprattutto ai più duri di comprendonio in salsa razzistasecessionista - che le mafie non sono più un problema di tre o quattro disgraziate regioni del Sud. Sono invece metastasi sparse ovunque, di quello che ieri in conferenza stampa il procuratore aggiunto di Milano Ilda Boccassini ha definito «un vero e proprio sistema», al punto che – ha sottolineato – «l’infilarsi nel tessuto istituzionale è diventato di una facilità estrema». Soprattutto, possiamo aggiungere, dove il tessuto produttivo, il peso economico e dunque la possibilità di produrre affari può attrarre non solo le aziende disposte a investire ma anche le cosche pronte a corrompere. Con il risultato che le prime finiscono spesso soffocate nel micidiale intreccio normativo-burocratico in cui un nulla osta, una firma, un parere sono mero esercizio di potere con annesso tornaconto. Aggirabile soltanto attraverso l’ormai l’iper collaudato meccanismo della corruzione/concussione/connivenza, valido e tristemente efficace in tutto ciò che attiene alla cosa pubblica, dagli appalti alle nomine, dalla sanità all’istruzione, dalle carriere alle clientele. Niente e nessuno esclusi. Del resto, gli episodi sopra citati sono soltanto gli ultimi anelli di una infinita grigia catena che hanno appunto fatto del sistema Italia una realtà in cui la corruzione impera e l’etica soccombe. Secondo la primordiale legge del più forte, inteso come più furbo. Del resto, di citazione in citazione, Arthur Schnitzler diceva che «l’umanitarismo come idea politica è un luogo comune, come idea religiosa un equivoco, come idea etica un’illusione». E lui è morto oltre mezzo secolo prima di Borges…