Un uomo solo al comando. I partiti tradizionali ridotti al rango di paggetti, mischiati nel pastone multicolor delle liste civiche. In attesa di briciole di potere e visibilità che a stento (forse) otterranno. Perché Leoluca Orlando, 70 anni ad agosto, non le ha mai mandate a dire e men che meno lo farà ora, che si appresta all’ultimo quinquennio da sindaco.
Nel 2022 avrà abbondantemente doppiato il traguardo dei venti anni da primo cittadino, spalmati nell'arco di quasi quattro decenni. Domenica sera, in piena sbornia adrenalinica post proiezioni che lo davano netto vincitore, ha praticamente mandato a quel paese Mentana che in diretta su La7 aveva osato definirlo «candidato del Pd». C'è da aspettarsi che qualcuno fra coloro che lo hanno sostenuto presenterà timidamente un minimo di conto. Anche perché una volta tanto – va detto – il computo complessivo delle preferenze delle liste supera quello del solo sindaco di circa due punti percentuali. Dunque un certo effetto trascinamento c'è stato. Eppure immaginiamo la risposta. Se è vero che Orlando già parla di «movimento dei territori» e di liste dei sindaci per le regionali d'autunno.
Insomma, per i partiti - che su queste colonne già alla vigilia del voto avevamo additato come sicuri perdenti – si annunciano tempi grami. E non è certo un caso che nel bailamme palermitano dei simboli-spezzatino senza pedigree, proprio il deludentissimo M5S risulta di gran lunga il primo soggetto politico nella nuova mappa d'aula (pur se sotto di circa 3 punti rispetto al dato del suo candidato sindaco). A voler scandagliare il fondale, spiccano comunque la lista di Forza Italia davanti a quella del Pd+Alfano, il modesto bottino sotto sbarramento del Cantiere popolare cui poco ha giovato il ritorno nell'agone di Cuffaro, il lusinghiero risultato della Sinistra Comune.
Dettagli, comunque. In attesa che i partiti provino a riorganizzare le fila in vista del voto per le regionali, magari prendendo a parametro i risultati di queste amministrative al netto dell'anomalia Palermo (nel 2022 avremo avuto due soli sindaci in 30 anni, altro roboante unicum), resta da puntare ora l'obiettivo sull'Orlando Quinquies. Che dovrà poggiare su almeno quattro robuste fondamenta: il completamento delle grandi opere in corso, il nuovo piano regolatore, il risanamento dei conti, una più efficace organizzazione dei servizi.
Perché si può a lungo discutere sulla filosofia della mobilità urbana o la bontà del sistema di disinquinamento della costa, ma finché la città resterà intrappolata nei relativi infiniti cantieri, tutto il resto sarà puro esercizio accademico, compreso il dibattito su un tram in più qui e uno scarico fognario in meno là. A proposito di trappole, giova ricordare che Palermo è ancora ferma nelle secche urbanistiche di un piano regolatore vecchio ormai di 15 anni (e a sua volta l'unico dell'ultimo mezzo secolo): una grave lacuna che frustra ogni ipotesi organica di sviluppo e pianificazione territoriale, in qualunque direzione si voglia andare. E per una «capitale» che si vanta di aver sostituito le sue etichette etiche ma per esempio non ha alcuno slancio architettonico contemporaneo (è perfino priva di un centro congressi degno di tal nome) non è affatto poco.
E mentre le casse municipali scricchiolano fra trasferimenti ridotti, evasione alle stelle e spese per gli stipendi a zeri periodici, l'efficienza dei servizi primari – rifiuti, acqua, gli stessi trasporti - continua a restare lontana dall'optimum, come riconosciuto dallo stesso Orlando. In un'ottica di gestione pubblica ricca di pregiudizi contro la via privata che, a Palermo come nel resto dell'Isola, appare più prossima a una logica di mantenimento di sacche di potere (e sotto potere) piuttosto che a un attento ed esaustivo esame costi-benefici. Altro censurabile elemento discriminatorio verso il mondo dell'impresa. O almeno la parte sana di esso.
Distinguo, quest'ultimo, che rimanda direttamente e inevitabilmente a una valutazione generale su quanto invece emerso dal segreto delle urne dell'altro capoluogo siciliano al voto. A Trapani Mimmo Fazio ha fatto in tempo a lasciare gli arresti domiciliari per essere il più votato alle urne e dunque favorito al ballottaggio col democratico Piero Savona. In una competizione elettorale che si giocherà fino alla fine fra le 70 sezioni di voto sparse per la città e le aule giudiziarie in cui si sta provando a mettere nero su bianco il teorema di – in questo caso sì, se confermato - un grande sistema di connivenza corruttiva e clientelare pubblico-privato.
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