La Sicilia che domani porterà alle urne oltre un milione e 500 mila elettori per scegliere sindaci e consiglieri di un terzo dei Comuni dell'Isola ha già in questa lunga vigilia decretato quanto meno uno sconfitto certo: il sistema dei partiti nella sua declinazione classica, tradizionale.
Perché mai come in questo caso i protagonisti della campagna elettorale sono diventati i singoli candidati – più o meno presentabili, più o meno discutibili – con le segreterie politiche a boccheggiare nell'affannoso tentativo di aprirsi uno spiraglio nella contesa. Senza esserci peraltro riusciti più di tanto. A conferma che oggi le sigle di partito – perse nel rincorrersi su equilibri interni, plateali sfide di potere e rumorose secessioni – hanno finito per mollare la presa sull'opinione pubblica, perdendo appeal, credibilità e radicamento territoriale. In tal senso le elezioni amministrative sono il termometro più attendibile.
Emblematico soprattutto il caso di Palermo: non un solo partito è riuscito a indicare un proprio candidato a sindaco. Unica eccezione la variabile 5 Stelle, movimento anch'esso però avvicinatosi al voto con non poche fibrillazioni interne, figlie dell'inchiesta sulle presunte firme false delle elezioni 2012 e con robusti distinguo sulla scelta del candidato – Ugo Forello - che ha richiesto un intervento diretto e chiarificatore di Grillo in persona.
Per il resto, ci si ritrova col Pd a salire sul carro di Leoluca Orlando dopo cinque anni trascorsi a battibeccarsi a distanza; con Forza Italia e i centristi nostalgici di Cuffaro ad accodarsi a Fabrizio Ferrandelli, a sua volta sostenuto dal Pd cinque anni fa, quando straperse il ballottaggio con l'attuale sindaco; con alcuni petali del dissolto centrodestra a chiedere ospitalità all'outsider Ismaele La Vardera; con i Verdi a puntare su Nadia Spallitta e gli autonomisti su Ciro Lomonte.
Nessuno dei partiti strutturati, insomma, capace di esprimere un candidato proprio. Una Caporetto senza precedenti, che si è manifestata parecchio in una campagna elettorale senza il classico tour dei grandi calibri – tranne sporadiche eccezioni – e dipanatasi tra fiacchi confronti, scontri al minimo sindacale e scarso impatto mediatico.
Ne risentirà l'affluenza? Probabile forse ancor più che possibile: cinque anni fa nel capoluogo il poco lusinghiero 63% del primo turno scivolò sotto un modestissimo 40% al ballottaggio. Di certo ne risentirà l'onda lunga che si riverserà sul voto autunnale per le regionali, mentre sulle politiche grava l'incognita legata al naufragio sul nascere della riforma elettorale.
Altro elemento di disamoramento da parte di un'opinione pubblica che, alle prese con famiglie da mantenere e aziende da tenere in vita, stenta a star dietro a logiche astruse ed elitarie. E intanto dilaga il blob dell'antipolitica, fra populismi e disaffezioni, che scavano solchi sempre più profondi fra la gente e i propri rappresentanti nelle istituzioni.
Ma non è solo l'inesorabile declino di partiti, sgonfi nei programmi e ipertrofici nelle segreterie, il leitmotiv di una vigilia del voto che ha visto intrecciarsi campagna elettorale e inchieste giudiziarie. Detto dei pentastellati a Palermo, dove pure Ferrandelli si è ritrovato a dover dar conto ai magistrati inquirenti di alcune possibili frequentazioni «pericolose», clamoroso è il caso Trapani, su cui è piovuto il meteorite dell'inchiesta sulla corruzione legata ai collegamenti con le isole minori, i cui effluvi si sono espansi fino ai piani altissimi della Regione e del parlamento nazionale.
Un candidato a sindaco coinvolto in pieno, con un altro candidato a sindaco – alleati un tempo, avversari oggi - per il quale poche ore prima che esplodesse l'inchiesta e gli arresti la Procura di Palermo aveva chiesto una nuova misura cautelare per un'altra vicenda.
Non proprio il clima migliore per avvicinarsi con serenità alle urne. Il tutto mentre a Castelvetrano, il paese dell'ultimo dei grandi latitanti di mafia – quel Messina Denaro cui si fa da tempo terra bruciata attorno ma che resta ancora imprendibile - è arrivato l'alt al voto dal consiglio dei ministri; mentre si dibatte sulla scarcerazione di Riina; mentre finiscono sulle cronache le esternazioni carcerarie di Graviano. Non la più brillante, serena e limpida delle campagne elettorali, insomma. Che ha già identificato sconfitti. In attesa adesso di scegliere vincitori.
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