Sergio Mattarella ha giurato. E dall’ingresso solenne in Parlamento, fino allo scanno del Presidente per pronunciare il giuramento, ha confermato uno stile e una cultura. Vestito di blu, la posizione dritta, l’espressione ferma. Austero e sobrio persino nel passo, non ha risparmiato una umanità affabile nel salutare e sorridere. Lo abbiamo pure visto baciare una signora tra le autorità. La cifra dell’intervento davanti alle Camere è venuta dallo sviluppo delle pochissime parole del discorso fatto subito dopo l’elezione. Ha parlato dell’attenzione da concentrare nella lotta alle diseguaglianze. Degli italiani che soffrono. Ne ha fatto l’elenco: i giovani, le donne, gli anziani. Ha sollecitato le istituzioni a saper essere vicini alla gente quando la incontrano nei momenti piccoli e grandi della vita quotidiana, nell’ospedale o nel museo. Ha ricordato che il disagio contribuisce all’abbattimento dei valori umani. Ha fatto propria l’angoscia di intere generazioni che rischiano di bruciarsi. In questo varco vede esplodere conflitti e violenza: i fenomeni mafiosi, la corruzione e il terrorismo. Sopraffazioni nei confronti delle quali la risposta delle istituzioni deve essere ferma, efficace e senza remore. Parole non certo di circostanza se pronunciate da un uomo che ha raccolto l’ultimo respiro del fratello vittima di un attentato che probabilmente cuciva il movente tra delinquenza ed eversione nella guerra combattuta sulla frontiera della legalità. L’offensiva contro il disagio sociale si combatte con una sola arma ed è la crescita. Su questo punto il Presidente della Repubblica si è soffermato a lungo. Lanciando un monito all’Europa che, proprio in queste ore, deve affrontare l’emergenza della Grecia. Un popolo affranto che guarda al resto dei partner perché siano padri e non solo patrigni. Mattarella ha definito il suo ruolo come arbitro che ha il dovere di applicare e far rispettare le regole. Sarà imparziale ma un giudice tutt’altro che immobile. Correrà nel campo per affermare dovunque il rispetto dei principi costituzionali. In questo lavoro ha chiesto l’aiuto della politica che, secondo i buoni principi, deve essere ricerca continua del consenso e non lotta belluina tra fazioni antagoniste, ciascuna protesa all’annientamento dell’altra. Una visione del resto anticipata con una decisione concreta, quando ha invitato alla cerimonia di insediamento sia Silvio Berlusconi sia Beppe Grillo, vale a dire i capi dell’opposizione che non sono parlamentari. Un gesto di pacificazione che il capo dei pentastellati ha avuto il torto di rifiutare. Mattarella ha sostenuto con chiarezza la scelta dei cambiamenti istituzionali. Dalla legge elettorale alla riforma costituzionale. Si è messo sulla scia di Giorgio Napolitano. Ha tolto ogni illusione agli appassionati della «Costituzione più bella del mondo» (neo-conservatori travestiti da progressisti) che speravano di fermare il cambiamento. Ha dimostrato su questo passaggio una caratura molto precisa e, per qualcuno, anche imprevista. Ha detto che bisogna riformare la Costituzione per rafforzare la democrazia. Ha messo in chiaro una personalità complessa, uno spessore forte. Non è, come da qualche parte si pensa (o si spera), un giurista politicamente disarmato. È un politico giuridicamente armato. È stato chiaro su priorità e valori. L’unità nazionale, innanzitutto, che non deve essere solo politica ma, da uomo del sud, innanzitutto economica, superando il dualismo che ancora divide il Paese. Ha ribadito il valore dell’impresa come fattore di sviluppo e di moltiplicazione della ricchezza. Che deve essere tutelata nei diritti e protetta da mafia e corruzione che, talora o spesso, la opprimono. Con questo discorso la politica può essere a una svolta. Avrà in Mattarella un garante imparziale delle regole nelle istituzioni. Ma il corso della loro riforma, voluto dal governo e da parte dell'opposizione, può avere in lui il riferimento migliore. È il presidente che ha rasentato i due terzi dei voti. Con il suo discorso, asciutto e conciso, ha saputo parlare a tutti. E tutti, con rare eccezioni, lo hanno applaudito, interrompendolo con cinque ovazioni. Dai teleschermi abbiamo visto lo spettacolo inedito di una politica lontana dal chiasso e dalle risse. È una grande bellezza che è piaciuta a molti. È diffuso nella gente il desiderio che questo clima nella politica continui. Vogliamo sperare che duri. Anche se nessuno, e meno che mai noi, vuol farsi illusioni.