L’Italia con le carte in regola. Non solo un modo di dire, un'aspirazione, ma una rivoluzione concettuale, una rivoluzione soft, dolce, come il sorriso appena accennato del Capo dello Stato eletto. Una rivoluzione destinata ad incidere nei rapporti fra cittadini e istituzioni. Le carte in regola: il sogno di legalità per una Regione Siciliana inquinata e dissanguata da Cosa nostra, un ideale vissuto e attuato concretamente al vertice del governo regionale ma che nel 1980 venne stroncato con l'assassinio politico-mafioso di Piersanti Mattarella, diventa ora il manifesto ideale, altrettanto concreto, del mandato del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella.
Non sarà una cosa da poco, in considerazione del crescente distacco fra politica e Paese reale e soprattutto visti gli intrecci fra politica-criminalità-corruzione e sperperi di soldi pubblici, delineati dalle inchieste giudiziarie che scuotono da decenni tutte le regioni. La svolta sta nell'esempio di vita politica e nella profonda valenza morale e istituzionale di Sergio Mattarella, primo Presidente della Repubblica siciliano. «Ha avuto molti più voti di quelli su cui poteva contare sulla carta - sottolinea l'editorialista della Stampa e scrittore Marcello Sorgi, che aggiunge: «Ed ha avuto il consenso di un partito, come Ncd, che gliel'aveva negato e ha cambiato posizione per votarlo, rompendo il patto di unità d'azione con Forza Italia»
Segnali di cambiamento di rotta? «Sono segnali importanti, che rivelano come la scelta di Mattarella da parte di Renzi abbia provocato un positivo terremoto politico, nello stesso Parlamento dove due anni fa due candidati del Pd erano stati affossati dai franchi tiratori e alla fine, per uscire dall'empasse, si era finiti a supplicare Napolitano per fargli accettare la rielezione».
Com'è stata possibile questa evoluzione?
«In massima parte è stato merito di Renzi. È riuscito a riunificare un partito diviso e agitato da conflitti interni, specie dopo la tormentata conclusione della vicenda della legge elettorale al Senato. Nel Pd, lo ha detto Renzi stesso, c'erano ben 19 candidati al Quirinale. Nel corso delle trattative si è arrivati fino a una trentina. Renzi, con Mattarella, ha saputo scegliere il solo nome che fosse in grado di ricomporre l'unità interna».
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