Lunedì 23 Dicembre 2024

Il bilancio della Regione, ora i nodi vengono al pettine

Non si può eludere la realtà e ora che il repentino contrarsi delle entrate fiscali e dei trasferimenti statali ha messo a nudo tutti i limiti di una dissennata politica di clientele, la Regione Siciliana e i tanti enti che le fanno da corollario giacciono tristemente impantanati come quelle barche che la marea ha privato dell’acqua su cui galleggiare. Le prime informazioni disponibili - sulle quali riferisce la cronaca di Giacinto Pipitone - tracciano un quadro pesante, nel quale l'impegno a ridurre gli squilibri dei conti regionali si concretizza, intanto, in una prima manovra correttiva di un miliardo e mezzo. Sarebbe ottimistico pensare che ci si possa fermare a questo livello di interventi. Non sono tante le certezze sui numeri che devono essere ancora affinati e poi passare dalle forche caudine delle prevedibili resistenze politiche, ma certo il dato di partenza non è di alcun conforto. A legislazione vigente mancano infatti all'appello poco più di quattro miliardi di euro. Nella sarabanda di numeri di questi giorni è bene separare il grano dal loglio. Da un lato infatti, come si è detto, mancano più di quattro miliardi per redigere un bilancio in equilibrio, dall'altro quando anche si trovassero i soldi, almeno in senso scritturale, poi bisognerebbe fare i conti con il gioco delle tre carte; come è accaduto con la sanità siciliana, le cui entrate sono state destinate ad altri scopi (forestali, precari, stipendi e salari vari), costringendo le aziende sanitarie a ricorrere ad anticipazioni bancarie per fare fronte alla salute dei siciliani. Questo giochetto ha già prodotto un buco di tre miliardi di euro, coperto con l'accensione di un primo mutuo da un miliardo e con un secondo mutuo da due miliardi ancora da sottoscrivere. I due mutui peseranno sul bilancio regionale, per i prossimi trent'anni, per circa 100 milioni di interessi all'anno. I siciliani li pagheranno con le addizionali Irpef ed Irap al massimo livello consentito dalle leggi italiane e con la improbabile promessa che nel 2017 le stesse addizionali vengano riportate ai livelli standard. E così i nodi vengono al pettine; e sono nodi che hanno una matrice precisa: dipendenti regionali e precari. Nessuno considera piacevoli misure che incidano sui livelli retributivi, né si può sottacere il rischio concreto di un'ulteriore contrazione della spesa per i consumi a seguito di una manovra di contenimento di stipendi e salari pagati dal «pubblico». Ma nessuno può ignorare che i nodi sono ogni giorno più inestricabili; nessuno può ignorare che una caduta delle entrate regionali del 35% non poteva coesistere con il mantenimento dello statu quo delle uscite. Nessuno lo può ignorare. E questo vale per i partiti di maggioranza che sostengono il governo Crocetta; vale per i partiti di opposizione che, nel rispetto dei ruoli, sono chiamati ad una seria presa d'atto. Vale per i sindacati ora impegnati a garantire la gestione responsabile dei buchi che hanno colpevolmente lasciato scavare. Vale per i lavoratori cui non sarà di alcun ausilio la pratica della protesta piazza. Neanche la più esagitata manifestazione potrebbe infatti generare le risorse finanziarie che non ci sono più. Tutti, infine, devono essere pronti ad accogliere una ovvia considerazione; il comparto pubblico in Sicilia è chiamato a fronteggiare oggi gli stessi sgradevoli effetti di contenimento retributivo che il comparto privato «frequenta» già da alcuni anni. Con un'aggravante per il privato. Quando chiude un grande impianto (ed in Sicilia ce ne sono pochi) scattano alcuni meccanismi di salvaguardia, ma quando chiude una piccola realtà (ed in Sicilia ce ne sono tantissime) non c'è neanche quel tipo di aiuto. Anche per questo risultano incomprensibili certe levate di scudo (incluso lo sciopero generale di ieri) contro il jobs act che, tra l'altro, apre la porta del sussidio statale anche a chi finora non ne ha mai beneficiato. Lo Stato, già comincia a trapelare, darà un aiuto al governo siciliano, ma mettendo sul piatto una richiesta precisa; la concreta e manifesta volontà di uscita da un modello assistenziale che tanti danni ha apportato alla Sicilia. E d'altra parte come si possono giustificare certe dissennate scelte politiche che hanno partorito il 28% di tutti i dipendenti regionali d'Italia ed il 36% di tutti i dirigenti regionali d'Italia? La strada è certamente in salita, ma c'è solo questa. Spostare risorse, quanto più è possibile e nel più breve tempo necessario, dalla spesa improduttiva a quella produttiva di ricchezza e lavoro vero. Gli esempi di spesa improduttiva sono tantissimi. Circa ventisettemila forestali siciliani non hanno garantito la moltiplicazione delle superfici forestali nell'Isola, né hanno assicurato la difesa del territorio, come dimostra il fatto che con l'8% della superficie italiana, la Sicilia «vanta» il 43% delle superfici percorse dal fuoco in tutto il Paese. Circa ottomila addetti alla formazione (ma prima erano circa diecimila) non hanno alimentato uno scatto formativo capace di incidere sul mercato del lavoro. Circa dodicimila addetti alla raccolta ed allo smaltimento dei rifiuti non hanno certo fatto della Sicilia un territorio «pulito» e curato. Più di ventimila dipendenti diretti regionali non hanno reso efficiente la macchina burocratica; e d'altra parte né la conservazione della clausola di salvaguardia per i dirigenti (stesso stipendio anche quando si perde l'incarico) né la conservazione di un privilegiato sistema pensionistico per tutti, hanno indotto una particolare efficienza operativa. Di tutto questo nessuno sa nulla; nessuno porta il fardello della responsabilità politica; nessuno ha qualcosa da recriminare. Tutto appartiene ad un passato senza «padri». Ma oggi i figli di quello scempio invocano un padre giusto ed equo.

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