Sono bastate poche ore per capire che qualcosa stavolta è cambiato in profondità. Exxon, primo gruppo mondiale dell'energia, ha perso 16,8 miliardi di dollari di valore alla Borsa di New York: una somma pari alla manovra di una legge di bilancio in Italia. Messe insieme, le grandi compagnie hanno bruciato oltre cento miliardi di capitalizzazione.
Nel frattempo si sono messi a correre i titoli dei gruppi ad alto consumo di energia, compagnie aree americane in testa. Questa settimana l'Opec ha consegnato ai mercati la sua ultima sorpresa, e chi non l'aveva messa in conto ora sta cercando di correre ai ripari: la produzione resterà invariata e questo farà scendere le quotazioni. Il Brent viaggia a quota 70 dollari al barile, l'8% in meno rispetto a giovedì prima degli annunci dell'Opec ma, soprattutto, il 40% al di sotto dei livelli di giugno. L'indice americano Wti perde in una seduta 10% a 66,15 dollari. Che cosa sta succedendo? Lo chiediamo a Ugo Bertone, giornalista e scrittore che collabora a Libero e Il Foglio.
Che cosa ha causato una caduta così violenta del prezzo del petrolio fino a quanto può durare?
«Nel mondo oggi si produce più petrolio di quanto non se ne consumi. Il fenomeno è legato, ovviamente, alla crisi economica di molti Paesi consumatori, a partire dall'Europa fino alla Cina. Ma, forse, la ragione vera sta nell'eccesso di investimenti partito nel 2010. In questi quattro anni sono stati spesi circa 2.500 miliardi di dollari complessivamente. Una cifra enorme destinata alla scoperta e allo sviluppo di nuove riserve di petrolio e gas. Il nuovo programma si è aggiunto al ciclo robusto di investimenti avviato dal 2003 in poi. Senza parlare della vera rivoluzione, quella dello shale oil americano».
È vero che gli Usa oggi producono più dell'Arabia Saudita?
«È vero. Grazie alle tecniche di “frantumazione” sviluppate attorno al 2006/’07 gli Usa hanno più che raddoppiato la produzione, fino a 9 milioni di barili di greggio al giorno. Il che ha dato il via ad una rivoluzione che non si è ancora fermata. Gli americani, grazie al petrolio a buon prezzo, sono tornati ad essere una meta competitiva per molte industrie ad alto consumo di energia, come alluminio e chimica, attraendo imprese anche dall'Europa. Ben diversa la situazione della Russia».
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