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Ranieri: «Le aziende siciliane devono fare rete e puntare all’export»

Il direttore area Sicilia di Intesa Sanpaolo: «Edilizia e commercio i settori più colpiti dalla crisi Si deve ripartire dal turismo, ma servono le infrastrutture»

PALERMO. «Le imprese siciliane soffrono, non investono e pertanto non chiedono finanziamenti alle banche. Per competere sul mercato devono aprirsi all'export e fare rete. L'industria turistico-culturale potrebbe diventare l'industria per eccellenza della Sicilia. Sul versante politico i governi, regionale e nazionale, potrebbero incentivare le iniziative territoriali, rafforzare le infrastrutture e realizzare le opere incompiute». Ecco, per il rilancio produttivo dell'Isola, la ricetta di Alberto Ranieri, direttore area Sicilia di Intesa Sanpaolo, che lancia un invito al mondo produttivo: «Le aziende siciliane devono sfruttare la grande scommessa di Expo 2015».

Direttore, quali sono i numeri del declino economico della Sicilia, rilevati dal vostro centro studi?

«In Sicilia il 2013 è stato un "annus horribilis", perché è l'anno in cui si raggiunge la distanza più ampia tra il Pil dell'Isola e quello nazionale. In particolare, il 2013 si chiude con un calo del 2,7%. Se si considera poi l'intero periodo della crisi, dal 2008 al 2013, nell'Isola c'è stata una diminuzione del prodotto interno lordo di 14 punti e mezzo, contro l'8,5% nazionale, il differenziale più alto di sempre. Conseguenza, questa, non solo della crisi, i cui effetti oggi si sentono in maniera forte, ma anche di ritardi strutturali rispetto al resto d'Italia. I dati sull'occupazione sono tristemente noti e continuano a mostrare segnali di difficoltà: a giugno di quest'anno, la disoccupazione ha raggiunto il 22,54%, (oltre 10 punti in più del dato nazionale), aumentando di circa un punto rispetto all'anno scorso. E le previsioni per il prossimo quadriennio non sono buone: si prevede una flessione degli occupati per tutti i comparti».

Quali sono i settori più colpiti?

«Sicuramente le costruzioni e il commercio, in un quadro regionale in cui i settori dominanti sono proprio il commercio, con 122 mila imprese attive nel terzo semestre di quest'anno, seguito dall'agricoltura che conta 81 mila aziende ma che produce il 4 per cento del valore aggiunto complessivo, con un'incidenza doppia rispetto al dato nazionale. Un dato che, però, non è sufficiente a fare dell'agricoltura un settore trainante, perché si tratta di aziende in gran parte piccole, non sempre industrializzate e senza l'adeguato turn over generazionale: dal censimento emerge che oltre il 40 per cento dei capi azienda del settore è over 65 anni. Storicamente molto al di sotto del dato nazionale e del resto del Mezzogiorno è il manifatturiero, anche se esistono poli di eccellenza, come la filiera dell'agribusiness che esprime grande qualità ma non ancora tutto il suo potenziale».

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