PALERMO. «La suggestione è un’arma potente. E la disperazione delle periferie occidentali fa sì che nella bandiera nera dello Stato Islamico molti vedano una ragione di vita». Luciano Tirinnanzi, direttore della rivista di politica internazionale «LookOut News», mostra amarezza ma non sorpresa commentando la notizia del riconoscimento di un inglese e di un francese tra i boia dell’Isis: «Purtroppo — commenta il giornalista — anche nei quartieri della nostra Europa popolati da immigrati questi tagliagole non vengono percepiti come terroristi, ma come liberatori». Sempre irresistibile, quindi, la capacità del «Califfato dell’Orrore» di reclutare volontari stranieri? «I dati della Cia oscillano anche sui numeri complessivi dell’esercito dello Stato Islamico. Dovrebbe disporre di 40 o 50 mila miliziani. Di questi, almeno 10 mila sono stranieri e aumentano di oltre mille al mese. Per Isis, d’altronde, è fondamentale il reclutamento continuo perchè tantissimi muoiono ogni giorno. Ad esempio, sono almeno mille quelli caduti negli ultimi due mesi nell’assedio di Kobane (città curda al confine tra Siria e Turchia, ndr)». Tra i «caduti» dello Stato Islamico, possiamo definitivamente escludere che vi sia lo stesso califfo Abu Bakr al-Baghdadi? «Nel messaggio audio di al-Baghdadi, diffuso sette giorni dopo il raid americano a Mosul su un convoglio che trasportava i capi dell’Is, lui fa riferimento ad alcune notizie che sono certamente successive a quell’attacco. Ad esempio, viene citata la decisione statunitense di potenziare il proprio contingente inviando mille 500 soldati in più in territorio iracheno. Il califfo, però, si fa sentire ma non vedere. Questo dimostra che, almeno, è seriamente ferito». Eliminato l’emiro, crollerà lo Stato Islamico? «No. Nel nuovo numero di Lookout News, disponibile on line (www.lookoutnews.it), abbiamo ricostruito la mappa di potere dell’Is. Ha una struttura piramidale, ben gerarchizzata, e non sarebbe certo un problema per loro sostituire l’attuale guida suprema. Lui, d’altronde, è già affiancato dai governatori di Iraq e Siria oltre che da un personaggio pittoresco e carismatico, rosso di barba e di capelli: Abu Omar al-Shishani. Lo Kobane sembrava ormai perduta, invece è diventata un punto di stallo per le mire espansionistiche del Califfato. Merito della coalizione a guida statunitense? «Certamente. Dobbiamo, però, chiederci cosa succederà quando lo Stato Islamico deciderà di consolidarsi nei propri confini (attualmente, Is controlla un territorio di 90 mila chilometri quadrati, ndr) e mantenere le proprie posizioni, soprattutto nell’Iraq che per loro rappresenta una priorità molto più della Siria. A quel punto, che faranno gli americani?». Obama, intanto, ha deciso di aumentare il contingente Usa in Iraq. Pronto il cambio di strategia con l’impiego di più elicotteri «Apache», i «carrarmati volanti», e meno bombardieri? «I mille 500 soldati statunitensi arriveranno proprio nei prossimi giorni e non credo che si limiteranno all’addestramento delle truppe regolari irachene. La guerra all’Isis sta per compiere un salto di qualità, però resta da vedere come reagirà l’opinione pubblica americana quando ci saranno le prime vittime tra i propri soldati». In queste ore, gli americani hanno dovuto fare i conti con l’esecuzione di un altro connazionale, l’operatore umanitario Peter Kassig. I «tagliagole» non si sono fermati neppure dinanzi a un ragazzo che durante la prigionia s’era convertito all’Islam... «È una dimostrazione di forza, un modo per dire che non hanno clemenza per nessuno. Il Califfato, d’altronde, ha poche frecce nel proprio arco per combattere gli occidentali. La decapitazione degli ostaggi rappresenta, per loro, l’arma più efficace. C’è proprio da temere che nessuno dei prigionieri in mano dell’Is riuscirà a rimanere in vita, da qui alla fine del conflitto». Tanta brutalità esibita in video sembra «pagare». In arrivo nuovi gruppi jihadisti a sostegno della «guerra santa» in Iraq e Siria? «Proprio in questi giorni, alcune formazioni jihadiste hanno giurato fedeltà allo Stato Islamico. Sono gruppi fondamentalisti attivi in Egitto, Tunisia, Yemen, Egitto. E soprattutto in Libia. Che, per noi italiani, rappresenta indubbiamente il motivo di maggiore allarme».