La mediazione sul Jobs Act, la partita delle riforme e della nuova legge elettorale, l'eventuale successione di Napolitano e soprattutto l'ombra delle elezioni anticipate: sono le pedine sulla scacchiera del governo, pedine da muovere con prudenza o «petto in fuori»? Lo abbiamo chiesto a Marzio Breda, giornalista del Corriere della Sera che da anni segue le vicende politiche del Quirinale, con il quale analizziamo l'attuale panorama politico.
Legge elettorale, il governo si trova "stretto" fra Ncd e Fi: come può uscirne?
«Matteo Renzi sta dimostrando una capacità manovriera che a volte scivola in spregiudicatezza. Una dote che si rivela spesso utile nelle fasi critiche, quando i negoziati politici rischiano di impantanarsi per contrapposti veti e una mossa spiazzante si rivela magari decisiva. Nella partita della legge elettorale, il premier può forzare la mano con ragionevoli chances di uscirne vincente grazie alla debolezza dei suoi principali interlocutori».
Quali sono le debolezze cui allude?
«Il Nuovo Centrodestra è un alleato gregario e dall'influenza non penetrante, anzi, decisamente marginale: per tacitarlo basta una rassicurazione, già accordata, sulla soglia vitale (fra il 3 e il 4 per cento) di sbarramento per l'ingresso in Parlamento. Più complesso per Renzi potrebbe rivelarsi il confronto con Forza Italia, nelle cui fila si teme che la trattativa sfoci in un sistema elettorale su misura per un Pd "pigliatutto". Berlusconi non può ovviamente permetterselo: deve riconquistare un pieno dominio sul suo partito, oggi sfilacciato sotto la spinta di diversi aspiranti leader, dunque insiste per ridurre al minimo il peso delle preferenze. In questo si trova in discreta sintonia con Renzi, anch'egli ansioso di avere il controllo sui propri gruppi parlamentari. Ecco perché non sarà poi così arduo costruire un compromesso».
C'è il rischio che la maggioranza non tenga su questo fronte?
«Non enfatizzerei troppo questo rischio. Per reciproche, sia pur contrapposte, convenienze, "devono" stare tutti insieme almeno per un altro po' di tempo. L'unica variabile che potrebbe incrinare, se non diroccare, l'attuale quadro politico potrebbe venire da qualche nuovo e rapido riposizionamento politico. Se ad esempio il Ncd scegliesse di rientrare nei ranghi berlusconiani - e qualche prova di dialogo tra Alfano e Berlusconi è già in corso - questo finirebbe con l'accelerare la dissoluzione della maggioranza. Al momento non sembra però una prospettiva concreta e, soprattutto, vicina».
Renzi sembra escludere il ricorso a elezioni anticipate: è un'ipotesi definitivamente accantonata?
«Ecco l'autentico busillis di queste settimane. Il premier giura di non puntare al voto in primavera, eppure proprio lui sarebbe in grado di ricavarne il maggiore vantaggio. Potrebbe rovesciare il tavolo, recriminando di avere le mani legate dagli attuali assetti del sistema e, con quella scusa, scansare anche le critiche di non aver saputo agganciare la ripresa in corso in mezza Europa. Ragionando secondo questo schema, potrebbe invocare una sorta di referendum sul proprio nome. E molti sondaggi dicono che la sua luna di miele con una buona fetta di italiani non è ancora finita, anche perché all'orizzonte non si vedono alternative».
Si apre la corsa al Quirinale: quali sono i possibili candidati? Ce n'è uno che potrebbe mettere tutti d'accordo, compresi i 5 Stelle?
«La notizia di un probabile congedo di Napolitano in gennaio ha anticipato il via a una corsa che sottotraccia era comunque già aperta. Le rose dei candidati che fioriscono sui giornali sono in realtà un gioco al tritacarne, più che sondaggi politici seri. Tra i nomi che circolano, potrebbero avere delle chances gli esponenti del Pd Veltroni, Chiamparino, Finocchiaro, tra i più gettonati in questa fase. Ma si può dare ragionevolmente credito pure a esponenti di altre famiglie politiche, o della società civile, purché in grado di raccogliere un consenso trasversale e di rappresentare autorevolmente l'unità nazionale con uno spirito di garanzia... Il king maker di questa elezione sarà Renzi e francamente non so quanto vorrà coinvolgere il Movimento 5 Stelle in questa partita. Se lo facesse, una simile scelta sarebbe percepita come un atto di aperta ostilità da Berlusconi e ciò dissolverebbe di colpo il patto del Nazareno».
Sul Jobs Act sembra trovato l'accordo ma le proteste di piazza mettono in discussione la riforma. Andando avanti c'è il pericolo di alimentare tensioni sociali anche più forti? E c'è qualche possibilità di ricucire i rapporti con la Cgil?
«Il rischio che sul lavoro lo scontro sociale si accentui e addirittura deragli in forme di violenza diffusa è molto serio. Una minaccia sulla quale lo stesso presidente della Repubblica ha lanciato un allarme ad hoc, alcuni giorni fa. Il premier scommette la sopravvivenza del governo sul Jobs Act e non sembra disposto a concedere molte modifiche. A costo appunto di mettere la fiducia sul provvedimento, sul quale si gioca la faccia in Europa. Certo, il suo atteggiamento di chiusura assoluta verso i sindacati, in particolare Cgil e Fiom, potrebbe rinfocolare polemiche molto aspre e pericolose. La logica della concertazione è tramontata, tuttavia c'è un problema di legittimazione reciproca, senza la quale non si va da nessuna parte… Servirebbe un rinnovato senso di responsabilità su entrambi i fronti».
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