Un partito sempre più frantumato che, tuttavia non si frantumerà. Un po' come la vecchia Dc, verrebbe da dire. «Secondo la migliore tradizione dei partiti della sinistra» corregge Peppino Caldarola, giornalista di lungo corso già direttore de L'Unità ed ex parlamentare dei DS e dell'Ulivo.
Quanti Pd ci sono?
«Almeno quattro o cinque».
Finora sembravano solo due: Renzi da una parte e la minoranza dall'altra. Gli altri da dove sono spuntati?
«Da tutte le parti. Come sempre accaduto anche nel Pci che sotto la coperta del centralismo democratico c'erano le varie anime: cossuttiani, amendoliani, ingraiani. Anche allora l'unità era solo di facciata. Le anime erano molte. La differenza è solo di facciata: una volta era tutto coperto. Adesso i panni sporchi vengono sciorinati in pubblico».
Proviamo a contare quelle di oggi?
«Vediamo. C'è la componente di Renzi che appare piuttosto compatta dietro il leader. Ha la maggioranza nel partito ma non fra i gruppi parlamentari. È forte, ma non sappiamo fino a che punto. Poi c'è l'ala sinistra di Matteo Orfini che ormai ha traslocato sotto le bandiere del segretario. Dall'altra parte l'ala sinistra di Pippo Civati e Stefano Fassina che vuole stare molto lontana da Renzi ma non tanto da finire fuori dal partito. Infine il blocco composto dall'ex segretario Pierluigi Bersani e da Roberto Speranza che sta all'opposizione di Renzi ma è disposta al dialogo».
Matteo Renzi vuole fagocitare le opposizioni in un grande «partito della nazione»?
«Un panorama del genere è determinato molto più dagli avversari del leader del Partito democratico che da una sua volontà. Tratto comune alle opposizioni di destra e di sinistra in questa fase è la bandiera della conservazione totale. E al riguardo è singolare che il Movimento Cinque Stelle si sia schiacciato sulle posizioni della minoranza del Pd e di Sel, animate dalla spinta a non cambiare nulla».
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