Se tre indizi fanno una prova ormai siamo all'assioma, al principio cioè che si accetta senza discussione. La legislazione italiana che finora ha peccato di eccessi (nulla si fa se non si legifera) è venuta via mutando nell'ultimo decennio, fino ad assumere una veste diversa da quella che la Costituzione le assegna. Da qualche anno non rilevano tanto i contenuti, quanto piuttosto gli effetti che si generano con l'applicazione o meno di una legge.
Non si tratta di una dotta disquisizione tra raffinati giuristi, ma piuttosto dell'impatto su tutti noi cittadini che, inconsapevolmente, subiamo le conseguenze di scelte maturate nelle segrete camere della burocrazia pasticciona o della politica involuta.
È sempre più diffusa la prassi di bloccare l'iter di leggi in vigore, rallentando il varo delle relative norme di attuazione. Soltanto il 53% delle leggi approvate dagli ultimi tre governi (Monti, Letta e Renzi) è pienamente operativo a causa di quell'armamentario di passaggi, intese e concertazioni che fa la felicità (e la forza) delle burocrazie. Ancora mancano all'appello 429 provvedimenti attuativi, dei quali ben 189 hanno già superato il termine di approvazione (Il Sole 24 Ore). Non stiamo parlando di dettagli tecnici, ma di passaggi necessari a dare attuazione a leggi, come la riforma "montiana" del lavoro o le semplificazioni fiscali dello stesso governo, ma anche a provvedimenti del governo Letta sui pagamenti della pubblica amministrazione, sulla istruzione e sulla cosiddetta legge del fare. Neanche il governo Renzi si è sottratto a questa tagliola, con le leggi sulla casa, l'Irpef e la cultura.
C'è poi un'altra modalità di "uso" delle leggi; consiste nello sfruttare tutte le opportunità - e sono davvero tante - offerte dai regolamenti anacronistici delle Camere o dal bicameralismo perfetto, quel meccanismo che impone di discutere e votare due volte, alla Camera ed al Senato, la stessa misura. Secondo Michele Ainis, editorialista del Corriere della Sera, buon senso vorrebbe che prima si procedesse all'approvazione delle norme costituzionali per superare ad esempio il bicameralismo, poi dei regolamenti parlamentari per schiacciare il mostro a nove teste dell'ostruzionismo parlamentare ed infine della legge elettorale. Ma priorità della politica sono altre. La riforma costituzionale, approvata a rischio delle ferie dei senatori, langue ancora nei cassetti; il nuovo regolamento della Camera dopo un anno di lavoro è sepolto sotto una montagna di 300 emendamenti e la stessa legge elettorale, che con una sola Camera sarebbe già legge dello Stato dal 12 marzo scorso, deve invece superare il vaglio del Senato.
C'è infine una terza fattispecie, particolarmente curiosa: è quella delle leggi pienamente in vigore ma che tuttavia non trovano applicazione. Consideriamo ad esempio la cronaca recente. Da qualche a tempo a questa parte, i milanesi "poveri" hanno scoperto sulla propria pelle il fenomeno dell'occupazione abusiva delle case. La legge statale 80 del maggio scorso (misure urgenti per l'edilizia abitativa) prescrive però che chiunque occupi abusivamente una casa non possa chiedere né la residenza né l'allacciamento ai servizi di luce, acqua e gas. «Perché - si chiede il ministro alle infrastrutture Lupi - prefetti e sindaci non intervengono?». Già, perché?
Questo Giornale qualche giorno fa segnalava l'anomalia del cosiddetto parametro Isee. È un indicatore della situazione economica familiare utilizzato per agevolare, con tagli ed abbattimenti, l'accesso ai servizi pubblici. Il beneficio, che dovrebbe riguardare le classi meno abbienti, si è esteso però al 29% delle famiglie italiane ed addirittura al 61% di quelle siciliane e campane. Il problema era stato già affrontato dal governo Monti, intervenuto a modificare il criterio dell'autocertificazione senza controlli successivi. Oggi persino la Cgil riconosce che esiste «qualche abuso» nell'applicazione dell'Isee, che lo stesso sindacato quota in circa 2 miliardi di euro all'anno. Bene la legge Monti, che ha cambiato i criteri per accedere all'indicatore Isee, resta inapplicata dal 2011 (decreto salva Italia).
Ma con la legge del 2010 che ha riscritto il codice della strada arriviamo al paradosso. Chi usa una automobile intestata ad altra persona per più di 30 giorni consecutivi (ma come si dimostra che sto usando un'auto da più di 30 giorni?), "deve" fare registrare il proprio nominativo sulla carta di circolazione. Ebbene la fervida fantasia burocratica, scrive Sergio Rizzo sul Corriere della Sera di ieri, ha "spiegato" una norma di sette righe con due circolari da 65 pagine totali. Inutile chiedersi perché la legge non trovi attuazione.
Se volessimo riportare il tema all'ambito siciliano dovremmo chiedere un supplemento di spazio; ci limitiamo quindi a richiamare alcune perle. La Regione, per colmare le necessità di personale, applica l'interpello: uno strumento arcaico che affida alla volontà del lavoratore la decisione di accettare il trasferimento. Il principio della volontarietà è stato cancellato dal Parlamento che prevede lo spostamento obbligatorio in un raggio di 50 chilometri. Il Parlamento siciliano ha abrogato l'interpello già nel 2010; peccato che da allora il presidente della Regione non abbia trovato il tempo di varare le norme attuative. Una informazione a margine. Il governo regionale avrebbe dovuto depositare per obbligo di legge, entro il 20 luglio, il documento di programmazione economica (DEF) ed, entro il 15 ottobre, il bilancio 2015. Non se ne è fatto nulla. Ma chi bada più a queste quisquilie?
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