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"Il posto fisso non esiste più", la sfida riformista del governo: o si cambia o si muore

«Il posto fisso non c’è più» annuncia Matteo Renzi dal palco della Leopolda. E non c’è più perché il mondo è cambiato. Con queste semplici parole definisce la situazione rispetto a quarantaquattro anni fa quando lo Statuto dei Lavoratori era stato approvato. La Guerra Fredda era in pieno svolgimento, russi e americani tenevano i carri armati con i motori accesi al Check Point Charlie, il varco più importante per attraversare il Muro di Berlino.

I Paesi Europei avevano ancora frontiere e passaggi doganali ben presidiati, i cinesi mangiavano una ciotola di riso e l’India viveva con un reddito di sopravvivenza. Ha ragione Renzi: difendere oggi lo Statuto dei Lavoratori e l’articolo 18 è come avere l’Iphone e chiedere dov’è che si mette il gettone.

A conferma che il tempo è passato come un fiume in piena travolgendo uomini e cose c’è un episodio che vale la pena ricordare come ha fatto il premier: nel 1970 quando la legge venne approvata, il Pci aveva votato contro e anche la Cgil si era dichiarata molto scontenta. Oggi le cose sono molto cambiate se la medesima sigla sindacale è impegnata in difesa di quel testo e quelli che si considerano gli ultimi eredi del partitone rosso sono pronti a votare contro il governo guidato dal loro segretario politico. Nel vecchio Pci un atteggiamento del genere non sarebbe stato nemmeno immaginabile. Tutti espulsi e scomunicati.

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