Il 29 agosto 2010 Matteo Renzi annunciava in una intervista che soltanto con la «rottamazione» della vecchia classe dirigente il Pd avrebbe potuto vincere le elezioni. La ruspa fu materialmente attivata tra il 4 e il 6 novembre successivi alla stazione Leopolda di Firenze in un convegno che fu liquidato come una evoluzione dei congressi della sinistra giovanile se non degli scout adulti. Era invece cominciato un percorso inesorabile di rinnovamento che porterà Renzi a celebrare da domani la quinta Leopolda della serie e la prima Leopolda di governo. Il giovanotto era convinto di arrivare a Palazzo Chigi da quando nel 2009 è diventato sindaco di Firenze, ma non pensava di insediarvisi così presto. È un'altra conferma che i Muri a ogni latitudine possono restare in piedi per decenni, ma crollano all'improvviso e di schianto, come accadde in questi giorni 25 anni fa a Berlino. Rispetto al 2010 i renziani si sono moltiplicati enormemente, ma questo fa parte dell'abitudine italiana di correre in soccorso del vincitore. Il problema è di capire se quello che si riunisce domani a Firenze è un secondo Pd, come dice la sinistra interna, o il valore aggiunto (di quindici punti) rispetto al Pd del 2013 come sostiene Renzi. È una questione cruciale, questa, perché la minoranza accusa il segretario di aver snaturato il partito e il segretario rivendica il merito di averlo adeguato ai tempi, approfittando della crisi della destra moderata. Fuori dal dibattito ideologico, è un fatto che mentre Maria Elena Boschi, Simona Bonafé e Graziano Del Rio oggi saranno alla Leopolda a festeggiare i giorni del 2010 in cui loro c'erano e gli altri no, Rosy Bindi, Gianni Cuperlo e Pippo Civati (ex leopoldino) andranno a piazza San Giovanni a festeggiare la manifestazione fortemente antigovernativa di Susanna Camusso e della Cgil. Durante il governo Prodi, abbiamo visto ministri di Rifondazione e dei Comunisti italiani marciare contro il governo di cui facevano parte. Adesso non arriveremo a tanto, ma anche un moderato come Graziano Del Rio ieri sera ha ammesso a «Porta a porta» che se il sostegno della minoranza alla Camusso si trasformerà in un voto contrario in Parlamento alla legge di stabilità si porrà un problema politico molto serio. Renzi, in ogni caso, non si fermerà nella sua costruzione di un partito a vocazione maggioritaria: quello immaginato da Veltroni nel 2008 e poi fallito per la sciagurata alleanza con Di Pietro. Il partito della Nazione (che evoca nei nemici a sinistra di Renzi addirittura il partito nazionalsocialista di Hitler) non è altro che un partito senza confini, come lo era nel '94 - su dimensioni più ridotte - Forza Italia che prese i voti dalla destra orfana del Msi alla sinistra arroccata a Sesto San Giovanni. L'indebolimento di Berlusconi ha portato Renzi a risultati impensabili, nonostante un quinto dell'elettorato abbia votato alle europee ancora per Grillo. Il Cavaliere è bloccato tra il sostegno a Renzi nelle riforme istituzionali e la debole opposizione alla legge finanziaria, attenuatasi negli ultimi giorni per la rivolta interna di partito. La stessa legge elettorale mette in imbarazzo Berlusconi: Renzi vuole infatti il bipartitismo al quale lui ha sempre aspirato. Ma se lo attuasse, prima del 2023 (se si votasse nel '18) Forza Italia non avrebbe spazi. E allora anche per Berlusconi sarebbe troppo tardi.