Quanto sono bravi e professionali i comunicatori dell'Isis, i loro video dei decapitati sono bombe mediatiche con riprese a doppia videocamera da auto in corsa e al rallentatore, con radiomicrofoni per il suono che si spengono al momento del taglio, esplosioni con effetti digitali e montaggio hollywoodiano, karaoke in arabo e in inglese e combattenti che brillano di luce. Parlano all'Occidente e fanno propaganda sottolineando che «nei vostri videogiochi ci sono le stesse azioni che noi facciamo a vivo nei campi di battaglia». Aprono giornali - due negli ultimi due mesi - ed hanno uffici stampa, i loro messaggi sincopati come rap li capiscono tutti ed è «un linguaggio che deve preoccupare l'Occidente e che può affascinare se negli ultimi mesi sono in aumento le reclute straniere che vanno a combattere per l'Islam: non è un fenomeno nuovo ma l'Isis lo ha portato a livelli mai visti prima».
Il nemico è troppo pericoloso, troppo cinematografico e mediaticamente coinvolgente per Eugenio Dacrema e Silvia Favasuli, i due autori di un reportage pubblicato sul giornale online Linkiesta. Una giornalista di Esteri e un ricercatore di Studi internazionali e rapporti euromediterranei all'Università di Trento: «Colpire l'immaginazione, Al-Qaeda lo aveva capito molto tempo fa organizzando il più grande attentato in mondovisione della storia, l'11 settembre 2001, poi era caduta nella comunicazione salmodiante e incomprensibile dei sermoni. Ma oggi il Califfo ha pubblicato ben due riviste ed ha annunciato l'imminente apertura di una nuova stazione televisiva. C'è un cambiamento antropologico, dai sermoni religiosi al rap occidentalizzato: l'Isis capisce che la guerra non la faranno i droni ma la comunicazione».
Ma chi è l'architetto islamico dell'operazione mediatica? E quale è il miglior modo contro l'avanzata promozionale dell'Isis? Per Eugenio Dacrema «non esiste un unico promotore della campagna mediatica dell'Isis. Dopo la seconda metà degli anni Duemila si è sviluppata una ricerca nuova per la comunicazione, e il primo innovatore della svolta è stato Anwar Al Awlki, cittadino yemenita americano, studi in Usa, il primo a tentare esperimenti comunicativi diversi dai sermoni: ha prodotto Spire, una rivista online patinata, in arabo e inglese, con i canoni estetici della comunicazione occidentale, con l'obiettivo di far arrivare il messaggio alle seconde generazioni potenzialmente musulmane. È stata la prima rivoluzione della comunicazione, l'autore è rimasto ucciso nel 2011, la sperimentzione sospesa».
L’INTERVISTA SUL GIORNALE DI SICILIA IN EDICOLA
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