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Il mondo cambia, ora nuove regole

"La pubblica amministrazione faccia un passo indietro per tornare al più consono ruolo di esercizio del controllo"

C’è chi lo invoca come il baluardo della democrazia nel lavoro, ma c’è persino chi, pur potendone beneficiare, oppone un netto rifiuto. Stiamo parlando del «reintegro», il famigerato articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori, che ha tenuto inchiodato al tavolo dello scontro la maggioranza e la minoranza del Pd, con il sindacato spettatore impotente ad elaborare una linea comune.

Ed ancora una volta la Sicilia funge da laboratorio sociale, con un drappello di dipendenti della SAS, società partecipata regionale, scioperano contro l'assunzione in pianta stabile di decine di contrattisti perché - non bastando i soldi per tutti - temono tagli ai propri stipendi. Se ne parla nelle cronache di questo Giornale.

Spesso nel nostro Paese i grandi temi del confronto sociale alimentano fronti contrapposti e tra loro decisamente ostili, senza che però il confronto pubblico sappia virare verso il merito dei provvedimenti ed i loro contenuti reali. Forse può essere utile ricordare che l’articolo 18 obbliga al reintegro nel posto di lavoro in caso di licenziamento illegittimo o immotivato e nelle aziende con più di 15 dipendenti. Se ora la scelta di eliminare il reintegro dovesse diventare legge, il lavoratore riceverebbe invece una indennità economica dal datore di lavoro, proporzionata all’anzianità aziendale. A questa indennità, secondo il progetto Renzi, si andrebbe ad aggiungere un assegno pubblico di disoccupazione ed un supporto pubblico nella riallocazione nel mercato.

Ci sono una serie di casi in cui la nuova legge lascerebbe inalterato il meccanismo del reintegro; è il caso dei licenziamenti a vario titolo discriminatori e che si fondassero sugli orientamenti religiosi o sessuali, sulle opinioni politiche o sindacali, su motivi razziali, su malattie o gravidanze, etc.

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