WASHINGTON. Quarantotto ore dopo avere cominciato ad attaccare le basi dell’Isis in Siria con un diluvio di missili e bombe, Obama ha annunciato all’Assemblea dell’Onu che l’America intende mettersi alla testa di una guerra contro l’organizzazione terroristica cui tutto il mondo deve partecipare, che non prevede trattative e che si può concludere solo con la sua totale distruzione. È una svolta drammatica per un presidente che considerava il ritiro americano dall'Iraq il suo fiore all'occhiello e fino a poco tempo fa ambiva a disimpegnare il suo Paese dal conflitto mediorientale. Ma è anche un invito a tutti i musulmani a rifiutare l'ideologia di odio della stessa ISIS e di Al Qaeda, a mettere fine ai loro conflitti interni e ad affrontare le cause del conflitto che sta devastando la regione, aprendo perfino a una soluzione politica in Siria dopo avere per tre anni chiesto perentoriamente la rimozione del presidente Assad.
Il discorso di Obama è stato sia una fresca assunzione di responsabilità da parte degli Stati Uniti, sia un invito al mondo intero a partecipare alla lotta contro chi, con la sua follia settaria e omicida, sta minando le basi stesse della civiltà. L'America - ha confermato - non invierà soldati in Medio Oriente, ma continuerà ad appoggiare con la sua potenza aerea la lotta contro il Califfato, anche se questa richiederà anni.
Pur avendo riscosso un vasto apprezzamento, il discorso di Obama non basterà a modificare la situazione sul campo di battaglia, né a chiarire la confusione quasi inestricabile di alleanze che è venuta a crearsi sul terreno. Dopo avere minacciato di uccidere gli «infedeli», militari e civili, ovunque si trovino e in qualsiasi circostanza, di rendere schiave le donne europee e perfino di distruggere la capitale della cristianità, gli jihadisti hanno risposto ai duri colpi subiti da parte dell'aviazione americana con la decapitazione di un ostaggio francese in Algeria e con la promessa di trasformare la Mesopotamia in un nuovo Vietnam.
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