Un reperto storico che va abolito immediatamente. È questo il giudizio di Maurizio Belpietro, direttore di Libero, a proposito dell'articolo 18. Un tema che sta spaccando il Pd e il sindacato mentre servirebbe la maggiore coesione possibile per ottenere una riforma che ormai tutta l'Europa ci chiede. «Per arrivarci, però, servirebbe Maggie Renzi» dice Belpietro con ironico riferimento alla signora Thatcher, il primo ministro britannico che negli anni '80 ebbe il coraggio di affrontare lo sciopero dei minatori gallesi. Un braccio di ferro che si concluse con la sconfitta del sindacato. Lo scontro nelle miniere del Galles venne considerato l'ultimo vagito della lotta di classe. Quello che si sta svolgendo intorno all'articolo 18 come potremmo definirlo? «La lotta a un privilegio. Oggi a precarietà di molti è figlia della inamovibilità dei pochi protetti. Per ogni lavoratore fisso ce ne vogliono uno o due che soffrono tutte le fluttuazioni possibili del mercato. Per sua natura lo schema italiano puo' applicarsi a metà dei lavoratori, non è un accidente storico. Spendiamo 20 miliardi per la cassa integrazione e per politiche passive del lavoro in generale. Piuttosto che tenere in freezer i lavoratori che hanno perso il posto di lavoro sarebbe meglio ricollocarli». Il fronte di opposizione però è molto agguerrito. C'è Susanna Camusso secondo cui quella in corso è una battaglia di libertà. C'è Stefano Fassina, per il quale dopo il famoso "Fassina chi?'" detto da Renzi mettersi di traverso di fronte a qualsiasi piano del presidente del Consiglio è diventato quasi un obbligo Pier Luigi Bersani, ha preannunciato che se si andrà allo scontro con il governo lui starà dalla parte dei lavoratori, ossia contro il segretario del suo partito. Come andrà a finire? «In questa battaglia c'è molto di ideologico e poco di concreto. L'articolo 18, ovvero l'impossibilità di licenziare senza giustificato motivo, non tutela affatto la libertà dei lavoratori, impedendo la discriminazione, ma semmai tutela la libertà di chi non ha intenzione di lavorare».