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Jihad, Quirico: «Non solo emarginati i giovani che lottano in nome del califfo»

Una panoramica sui giovani jiadisti con l'inviato di guerra de La Stampa che è stato 125 giorni prigioniero in Siria dei fanatici islamici

La religione è una stella che trascina i giovani fuori dalla miseria e dalla desolazione, la religione «è la grande promessa di riscatto, di rivoluzione e di trasformazione della vita»: e così, pieni di religione, i giovani jihadisti oggi in Iraq lottano per il Califfato, tagliano teste, sono «macchine di Allah che pregano, sparano, pregano». In chiave socio-teologica più che bellica, una panoramica sui giovani jiadisti con l'inviato di guerra de La Stampa Domenico Quirico, che è stato 125 giorni prigioniero in Siria dei fanatici islamici. Gli stessi che oggi stanno avanzando dal nord dell'Iraq, oltre trentamila combattenti quasi alle porte di Baghdad.

Un jihadista a caso come Kara, il ragazzo che la chiamava «cane cristiano» e usava il coltello a mezzaluna: perché si diventa Kara?
«Sono migliaia e migliaia i giovani al servizio del Califfo, e vanno combattendo verso la loro notte buia, il Califfato appunto, con una specie di inerzia suicida delle loro facoltà raziocinanti. Sono giovani che vengono dall'Afghanistan, dalla Libia, dall’Arabia Saudita e in consistenza inferiore vengono da Paesi europei, Stati Uniti, Germania, Francia: si ritrovano nella realtà disastrata della Siria e dell'Iraq da tempo governate da dittature, cresciute nella miseria e nella desolazione umana».

E gli europei che lottano con loro?
«La maggior parte non sono emarginati o esclusi dalle società, ci sono ragazzi che hanno titoli di studio integrati nel mondo occidentale, che rinunciano a questa loro identità e vanno a morire e a uccidere in un Paese che non è il loro. Ci sono inglesi di terza generazione, non come i clandestini che arrivano a Lampedusa, ben integrati nelle società di partenza».

E perché lottano con la jihad?
«Dobbiamo farci tutti una domanda, sul fallimento della nostra proposta di integrazione rivolta ai giovai musulmani cresciuti in Europa. Abbiamo fallito e ce li troviamo davanti come ostaggi occidentali. Non abbiamo risposto bene all'emarginazione, il nostro progetto di integrazione non ha funzionato».

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