La retina collettiva degli abitanti di questo mondo è abituata - dalla realtà, dal cinema e dal web - a montagne di cadaveri, agonie, esecuzioni. La morte non è più inguardabile, piaccia o no. Il sussulto rimane se le vittime sono i bambini, in casa o in guerra e le mamme Medea, quelle che al proprio figlio danno indifferentemente la vita e la morte, da secoli sono passate dalla tragedia greca alla cronaca nera. Tra duecento e trecento gli infanticidi negli ultimi dieci anni: la mancanza di precisione è dovuta ai casi archiviati come accidentali.
S’incontrano anche i padri su questra scellerata strada: sei nel 2014 in Italia, non a Corinto, hanno eliminato i loro figli, con accanimento, sforzo fisico, scagliandosi su un pezzo di loro proprietà, di una loro allucinata estensione. L’ultimo caso a Catania, San Giovanni La Punta: un genitore uccide la figlia, ferisce l’altra e tenta il suicidio. Andamento analogo ad altri massacri: nessun segnale premonitore, prima nessuno s’accorge di nulla, tutti sgomenti dopo e pronti a tirar fuori la spiegazione preferita, quella più rassicurante, e inascoltabile, il raptus di follia.
Sgombra subito il campo la criminologa Roberta Bruzzone: «Il raptus di follia non esiste, è da escludere anche solo per un attimo cercarne lì la causa, servirebbe solo a mimetizzare e a camuffare gesti che sono espressione di una consapevole decisione, indubbiamente alimentata da un particolare vissuto, da un malessere interiore. Ma non parliamo di follia, per favore. Si tratta di un omicidio lucido, volontario e pianificato».
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