In vent'anni di colloqui per i miei libri, Silvio Berlusconi ha ammesso un solo errore: aver insistito troppo sull'abolizione dell'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori tra il 2001 e il 2002. In un complesso lavoro di riforma, era riuscito quasi a portare dalla sua parte Cisl e Uil, ma la battaglia della CGIL e della sinistra ebbe una potenza di fuoco che portò il governo alla sconfitta. Il fronte riformatore ebbe anche una vittima, il professor Marco Biagi, ucciso dalle Nuove Brigate Rosse il 19 marzo 2002,con la stessa arma che tre anni prima aveva assassinato Massimo D'Antona, anche lui impegnato in una riforma del lavoro.
Quattro giorni dopo la morte di Biagi, il segretario della Cgil Sergio Cofferati riunì due milioni di persone al Circo Massimo contro la politica riformatrice del governo Berlusconi. La Cgil aveva definito "limaccioso" il «libro bianco» di Biagi e giudicò «un colpo al cuore dei lavoratori» la riforma che ne nacque, pur se l'articolo 18 era rimasto al suo posto.
Nei dodici anni che ci separano da allora la situazione è enormemente peggiorata. Il debito è salito dal 108 al 135 del prodotto interno lordo (Monti lo ha preso da Berlusconi al 119, mentre un'austerità senza crescita ammazzava il paese). Il prodotto italiano a prezzi costanti 2002-2012 è negativo ed è il peggiore dell'intera area euro solo dopo la Grecia. L'Italia è paralizzata. La vita delle famiglie è allo stremo: se i prezzi scendono, vuol dire che nessuno compra più. E se nessuno compra, nessuno vende. E se non si vende si licenzia. E se si licenzia non si consuma. Così la spirale negativa diventa inarrestabile. Se si guardano i dati regione per regione, si vede che il Nord va sempre più a Nord e il Sud sprofonda sempre più a Sud. Poiché i dati negativi si diffondono in tutta l'Europa (da ieri colpiscono perfino da Germania) è possibile che la Banca centrale europea anticipi al mese prossimo una iniezione di liquidità nel sistema superiore al passato. Ma basta un secchio d'acqua gelata a rianimare un corpo seriamente ammalato?
Se Matteo Renzi, abitualmente accusato di eccessivo ottimismo, arriva a definire "drammatica" la situazione italiana, vuol dire che lo shock deve essere più forte di sempre. Ha senso in questo quadro che dopo dodici anni si torni a parlare seriamente di abolire l'articolo 18? Sì, ha senso. Se il budino va giudicato dopo l'assaggio, dobbiamo dire che dopo la riforma del lavoro di dieci anni fa in Germania si assume più di quanto si licenzia e la stessa cosa sta accadendo in Spagna, dove pure la disoccupazione resta abnorme. È illusorio immaginare che basti togliere di mezzo l'articolo 18 per moltiplicare le assunzioni o i licenziamenti. Questo lo sanno sia gli avanguardisti del centrodestra - vecchio e nuovo - sia l'ala conservatrice del Pd. Ma sanno anche che noi veniamo giudicati per i simboli. E l'abbattimento di un totem è un simbolo formidabile. Naturalmente occorre andare per gradi e l'idea di limitarlo per ora ai nuovi assunti e per un triennio è ragionevole.
Ma è l'intera riforma del lavoro (il famoso Jobs Act messo da parte per ridimensionare il Senato) a dover dare subito un segnale di cambiamento forte. Solo quando sarà possibile riconvertire un lavoratore che non serve in un certo posto, ma può essere utile altrove; assisterlo per quanto possibile; sostituire la cassa integrazione perpetua con nuove iniziative di formazione; assumere un giovane senza l'incubo di un matrimonio indissolubile: insomma quando torneranno a funzionare le leggi della domanda e dell'offerta temperate dalle protezioni ragionevoli, ma non dogmatiche, di un capitalismo illuminato, il mercato del lavoro comincerà a riprendersi.
E se insieme sarà riformata la giustizia civile e penale, riapriranno i cantieri senza che il sindaco di un micro comune abbia titolo per bloccare un'opera pubblica strategica, se le conferenze di servizio non saranno più la tomba di ogni progetto, se si tornerà a poter costruire grandi infrastrutture tornando ai tempi dell'autostrada del Sole che fu ultimata in sei anni, se invece di inseguire le alluvioni investissimo un po'di soldi nel proteggere la terra, se il Sud utilizzasse la straordinaria intelligenza dei singoli per non disperderla nella frustrante inefficienza di gruppo, noi saremmo davvero un Grande Paese. Non solo il Bel Paese.
Caricamento commenti
Commenta la notizia