I numeri che testimoniano la caduta dell’occupazione in Sicilia ed il deflusso di capitale umano verso il resto del mondo, dovrebbero avere tolto ogni alibi alla cattiva politica, quella per intenderci che ha affidato al pericoloso connubio «lavoro finto-stipendio vero» la soluzione di un dramma sociale.
Ma come se nulla stia accadendo, oggi la cronaca ci ripropone un tema vetusto: sono esaurite le risorse per pagare l’apertura dei siti museali nei giorni festivi e quindi non si apre; l’ennesimo esempio della inossidabile, ostinata volontà di rendere difficile la fruizione da parte del pubblico. Quello stesso pubblico che, secondo il Censis, otto volte su dieci è fatto di turisti stranieri.
Quante volte ci siamo sentiti dire che turismo e beni culturali rappresentano il nostro eldorado, senza che a queste belle parole corrispondessero scelte politiche appena decenti. Questo giornale chiede già da tempo di rendere pubblica la distribuzione del personale nei siti museali e nelle aree archeologiche della Sicilia; senza risposte. Ed ancora oggi, scorrendo i dati sugli afflussi, si devono rilevare in un intero anno 12 visitatori paganti nel museo archeologico di Marianopoli, zero visitatori nell’area archeologica di Mineo, così come nella villa romana di Terme Vigliatore e nell’area archeologica di Tusa; per tacere del museo archeologico di Lentini che, con un deciso scatto all’indietro, è balzato da 131 visitatori paganti a 42. L’intera provincia di Catania conta meno visitatori paganti della chiesa di San Giovanni degli Eremiti a Palermo che, a scanso di equivoci, è sommersa sotto una montagna di erbacce e sotto il velo dell’incuria.
Su oltre cento siti culturali gestiti dalla Regione ce ne sono appena sette che superano la soglia dei centomila visitatori paganti all’anno; allora viene spontaneo pensare che gli addetti potrebbero essere distribuiti meglio. Magari applicando le norme statali che permettono il trasferimento senza vincoli del personale nel raggio dei 50 chilometri e trattando con il sindacato per gli altri. Certo bisogna agire sui rapporti di lavoro, riscrivere le regole e razionalizzare le fasce orarie. Ma se gli anni bui che viviamo hanno imposto la drastica decurtazione persino di stipendi da oltre mezzo milione di euro, forse anche nella gestione dei beni culturali, la politica ed il sindacato potrebbero fare di più.
È tempo di cambiare e di darne atto alla Sicilia, dove settecentomila persone, tra disoccupati e scoraggiati, non possono più convivere con certe defaillance. Magari, con riguardo alla gestione dei beni culturali, si dirà che non si tratta sempre di privilegi, ma di fatti indecenti sì.