E muoviamo proprio dal lavoro che (apparentemente) c'è. Quello presso la pubblica amministrazione. Ebbene, la Regione, con la sanità, le province ed i comuni hanno in carico circa 110 mila dipendenti, con un costo di poco superiore ai sei miliardi di euro all'anno; soltanto per il costo del personale ogni siciliano paga così 1.200 euro, mentre nella media nazionale ci si ferma a 996 euro a testa. La differenza, pari al 20% circa, può essere giustificata da un maggiore numero di dipendenti pubblici in Sicilia o da un maggiore costo unitario o ancora, come è più probabile, dalla combinazione di questi due elementi.
È appena il caso di ricordare che i dati citati non comprendono per esempio i pensionati regionali e alcune decine di migliaia di lavoratori in regime di precariato. Insomma si potrebbe spendere meglio.
L'altra faccia della medaglia è il mercato del lavoro privato, dove si colloca la stragrande maggioranza dei siciliani. Allargando lo sguardo all'intero decennio 2001-2011, la trasformazione avvenuta nel mercato lavorativo siciliano è evidente. Come questo Giornale aveva già anticipato, sono almeno 30 mila i posti di lavoro persi nel "pubblico" ed oltre centomila quelli che aveva guadagnato nel "privato". Trascinata da alcuni comparti più dinamici come il commercio, ingrosso e dettaglio, la ristorazione, la raccolta ed il trattamento dei rifiuti, l'occupazione privata siciliana aveva permesso alla Sicilia di crescere in termini di posti di lavoro assai più che nel resto del Paese, malgrado l'alleggerimento sensibile di dipendenti pubblici e segnatamente nel comparto dell'istruzione. I dati censuari non devono comunque fare perdere di vista il tracollo degli ultimi anni, testimoniato dal fatto che il quinquennio della crisi si è portato via qualche cosa come 160 mila posti di lavoro. In sostanza siamo tornati, in un drammatico gioco dell'oca, ben più indietro della casella iniziale del 2001. Anche nel 2013 il saldo tra le nuove assunzioni e le cessazioni dal lavoro si è mantenuto negativo; e nulla lascia sperare che nei primi mesi di quest'anno posa essere cambiato qualcosa.
Proprio nei giorni scorsi, per una felice iniziativa del rettore dell'Università di Palermo, Roberto Lagalla, sono stati consegnati ben 305 attestati ad altrettanti giovani che, dopo la laurea nelle varie discipline, hanno conseguito il dottorato di ricerca, come dire il top dell'istruzione. Si tratta ovviamente della punta di diamante della gioventù siciliana. Resta tuttavia l'amarezza sul loro futuro e sulle prospettive di occupazione in Sicilia, al netto del 5-6% di loro che potrebbe teoricamente aspirare ad un lavoro in ambito universitario.
Questi dati rendono ancora più drammatico il dato fornito dalla Banca d'Italia e che segnala una caduta del 28% negli iscritti ad un corso di studi universitari in Sicilia rispetto a dieci anni fa. Una gran brutta prospettiva quindi per la Sicilia, che vede diminuire le competenze e perdere, a vantaggio di altri territori, le poche che riesce a generare. Il lavoro è così sempre più un miraggio.
In termini occupazionali tutti i comparti hanno dato un contributo in negativo all'occupazione. Più forte è risultata la contrazione nelle costruzioni e nell'agricoltura, meno sensibile nell'industria ed ancora meno nei servizi. Un contributo, se non a nuova occupazione almeno in termini di contenimento delle perdite, lo hanno dato le esportazioni di merci che, al netto della componente petrolifera, sono aumentate del 7% in Sicilia, rispetto al +1% della media nazionale ed alla flessione del Mezzogiorno (-3%). L'export siciliano, che coinvolge circa 4 mila imprese locali, ha interessato in particolare l'elettronica, la chimica, l'agroalimentare ed i prodotti agricoli freschi (ortofrutta e florovivaismo).
Per gli effetti congiunturali e prospettici, la contrazione dei crediti bancari rappresenta un ulteriore fattore di preoccupazione, anche alla luce del fatto che quel poco di credito che viene richiesto ed erogato riguarda in prevalenza la "sistemazione" di precedenti esposizioni e del fatto che circa il 35% dei crediti è, con livelli diversi, a rischio di restituzione. Insomma niente investimenti.
Abbiamo individuato il lavoro come filo conduttore di questa sintesi del report Banca d'Italia; il consuntivo come si è visto risulta abbastanza sconfortante. È al futuro quindi che possiamo rivolgere lo sguardo, ricercando le opportunità in termini prospettici. Non è facile immaginare che qualche input possa arrivare dalla spesa pubblica ordinaria che tutt'ora fatica ad individuare ambiti e modalità di intervento a sostegno dell'occupazione. Ma volendo comunque forzare l'ottimismo della volontà, è possibile accendere una piccola luce di speranza. Proprio in questi giorni (e quindi al di fuori del perimetro di rilevazione della Banca d'Italia) si è messo in moto il programma delle cosiddette ZFU (zone franche urbane), aree circoscritte della Sicilia nel cui ambito è possibile effettuare investimenti privati, con un particolare regime fiscale di aiuti.
Come segnala Palazzo d'Orleans, sono quasi sette mila le imprese siciliane che hanno aderito. Un solo posto di lavoro per ciascuna, schiuderebbe le porte alla più significativa operazione di creazione di occupazione degli ultimi anni; nell'ambito di questo stesso programma si potrebbero canalizzare peraltro risorse aggiuntive, attingendo ai famigerati fondi europei che tanto stentiamo ad impiegare. Ed è proprio sui fondi europei e su una loro proficua e rapida utilizzazione, che si possono fondare le speranze di una ripresa del mercato occupazionale. Certo non possiamo dimenticare che nei primi sette anni del programma europeo, la Sicilia è riuscita a spendere 2,5 miliardi di euro e che ora, per non restituire i soldi all'Europa, dovrebbe spendere 1,6 miliardi nel 2014 ed altri 1,9 miliardi nel 2015. Ma, come si suole dire, la speranza è l'ultima a morire.
Lavoro in Sicilia, persi 160 mila posti La speranza si chiama fiscalità agevolata
Sono settemila le aziende che hanno aderito alle ZFU: un solo posto di lavoro per ognuna riaprirebbe interessanti prospettive occupazionali
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