La cronaca racconta degli scandali che si allargano senza confine di regione. Prima l’Expo a Milano, poi il Mose a Venezia, una puntata a Genova per la Carige. Un passaggio a Roma con la combinazione d’affari e forse di cuore fra l’ex ministro Scajola e la signora Chiara Rizzo, moglie di Amedeo Matacena. Infine un’incursione a Napoli con l’incriminazione di un ufficiale della Guardia di Finanza. È proprio questo lo snodo più inquietante. Non c’è solo il colonnello Mendella a gettare ombra sulle istituzioni. In queste inchieste compaiono con inquietante frequenza magistrati, giudici della Corte dei Conti, comandanti delle Fiamme Gialle, uomini delle istituzioni. Controllori infedeli su cui si concentrano sospetti pesanti. Ma anche il dubbio che, fra gli inquirenti, ci sia anche qualche debolezza per la spettacolarizzazione. Merita, in proposito, una riflessione la parabola giudiziaria del primo cittadino di Venezia, Orsoni. È stato arrestato (anche se ai domiciliari), esposto alla pubblica gogna perché non è frequente vedere colpito da un ordine di custodia un sindaco in carica. Alla fine è uscito dal processo con un patteggiamento di quattro mesi per finanziamento illecito. Una condanna tutto sommato molto mite che male si sposa con il clamore suscitato dall'arresto.
In realtà questo è solo uno degli interrogativi legati alla raffica di indagini in corso. Il tema più controverso riguarda il ruolo delle guardie e di chi controlla i controllori. Come in un gioco degli specchi i ruoli si confondono: i guardiani della legalità che di colpo si trasformano in ladri e usano i poteri di cui sono titolari per favorire il malaffare. Ovviamente le responsabilità dovranno essere provate. Nel frattempo si moltiplicano le invocazioni per un inasprimento della vigilanza. Sta forse per arrivare anche un super-procuratore per la legalità, dimenticando che già esiste un’autorithy per combattere la corruzione. Insomma è forte il sospetto che, sotto la spinta dell’emergenza, più che risolvere il problema si cerchi un espediente per placare lo smarrimento dell’opinione pubblica. È stato così da Tangentopoli in avanti. Il codice degli appalti doveva essere il libro sacro contro la corruzione. Si è visto che non è servito a niente. Poi i certificati, gli attestati, le procedure complicate. Tutto spacciato come la soluzione definitiva. Tranne accorgersi che non basta. Ora è in arrivo un altro giro di vite. Ma siamo sicuri che la dilatazione dei controlli sia quello che serve? Come ha spiegato il procuratore Nordio che coordina le indagini a Venezia la moltiplicazione degli obblighi non serve. Se ci sono cento porte cui bussare è facile che una non si apra se non a particolari condizioni di corruttela. Forse la strada da prendere è quella opposta: non l’aumento dei controlli ma il loro snellimento. Non leggi nuove ma assicurarsi il funzionamento di quelle esistenti. Non l’aumento degli occhi che vigilano ma la trasparenza che consenta a tutti di vedere.