Il governo abolisce l’obbligo di pubblicare sulla carta stampata gli avvisi relativi alle aste e agli appalti pubblici. I contenuti vengono conseguentemente centralizzati sul sito del ministero competente o sulla Gazzetta Ufficiale. Come giustificazione, l’urgenza di nuovi risparmi. Una politica che questo giornale ha sempre sostenuto, considerandola la premessa per il risanamento dei conti dello Stato e quindi della ripresa economica. Tuttavia, come in tutte le azioni umane, bisogna sempre considerare vantaggi e svantaggi. Vedere se per caso lo sbilancio tra perdite e profitti non sia troppo forte.
In questo caso i dubbi impattano su tre snodi cruciali: la trasparenza, la congruità dei risparmi e la stessa sopravvivenza dei giornali. L’ordine non è casuale. La pubblicazione degli avvisi legali risponde alla necessità di dare informazione su una materia molto sensibile come quella degli appalti. Un’esigenza negli anni cresciuta d’importanza, vista l’attenzione con cui l’opinione pubblica approccia i temi etici nel funzionamento della pubblica amministrazione. La trasparenza è la migliore arma contro la corruzione. Molto più della magistratura che, come i pompieri, interviene a danno avvenuto. In una casa di vetro è impossibile tenere comportamenti scorretti e l’informazione rappresenta un detersivo insostituibile per le pareti.
Appare invece farisaico pensare di sostituirlo con un sito internet di cui pochi avrebbero conoscenza, oppure con la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale scritta in perfetto burocratese. Con questo sistema verrebbe, forse, rispettata la forma legale. Non certo la sostanza informativa. Pura finzione. Un po' come Bertoldo che, alla richiesta di scegliere l'albero cui essere impiccato, rispose indicando l’albero del prezzemolo. Che non esistendo avrebbe impedito l'esecuzione.
Non meno strumentale appare il richiamo alla spending review. Anche qui un falso problema, visto che il costo della pubblicazione può ricadere sulle imprese vincitrici. Conosciamo l'obiezione: sarebbe solo una partita di giro perché il vincitore della gara potrebbe ribaltare la spesa sulla stazione appaltante aumentando il valore del contratto. Obiezione respinta, come accade nei telefilm americani. La trasparenza, quando è reale, porta al livellamento dei costi. Quindi le aziende tendono a fare l'offerta più bassa assorbendo all'interno del bilancio l'investimento sulla carta stampata. Così, alla fine, l'intera operazione si risolve in un ulteriore risparmio per la pubblica amministrazione. Altro che aggravio di spesa.
Infine la tenuta dei giornali. La pubblicità obbligatoria costituisce una fonte di entrata per le case editrici. Soprattutto per quelle di minori dimensioni. Per quanto detto fin qui, possiamo anche affermare che si tratta del corrispettivo per un servizio al pubblico. Una maniera per tenere i riflettori ben accesi su una materia ad alto rischio di corruzione. I vantaggi sono enormi. In una Asp di Palermo è bastato rifare un appalto per arrivare ad un risparmio del 50%. Attenuare la vigilanza dell'opinione pubblica favorisce i comportamenti irregolari e quindi l'aumento dei costi. A soffrire particolarmente per il taglio della pubblicità legale è la stampa locale. Quella provinciale e regionale, che da sempre vive sulle sue forze confrontandosi ogni giorno con il mercato. Il suo patrimonio è rappresentato dalla platea dei lettori e dalla pubblicità. Restringere per decreto uno dei due canali sarebbe un'altra batosta su un settore già in difficoltà. Gli editori stanno facendo fino in fondo il loro dovere imprenditoriale per offrire un prodotto sempre più interessante. Giornali migliori a servizio del territorio. Nello stesso tempo hanno accolto la sfida che il futuro pone. Si stanno ammodernando. Intraprendono nei nuovi media, a cominciare da internet, sempre con risorse proprie, senza sostegni pubblici. Giornali come il nostro non ne hanno mai chiesto e non li chiedono adesso. Chiedono invece che non siano tagliate le risorse esistenti. Tanto più che nel paesaggio complesso dei giornali italiani, ci sono giornali grandi, che fanno capo a gruppi industriali con risorse ingenti per fronteggiare la crisi. Ce ne sono altri, come i medi e i piccoli, che hanno risorse scarse, sempre più assottigliate dalla crisi. E ci sono invece giornali che fanno capo a partiti, sindacati e cooperative, totalmente a carico del contribuente, dal momento che usufruiscono di contributi statali. Per questo la decisione del consiglio dei ministri non si spiega. Riduce notevolmente quei pochi elementi di trasparenza che attraverso i giornali si garantiscono. Non realizza risparmi per lo Stato e aggrava, fino all’irreparabile, giornali che sono già in crisi. Non possiamo non chiedere e non chiederci. Perché? *