Sul Giornale di Sicilia di oggi trovate la notizia di 370 ex Pip distaccati al Comune di Palermo ma sui quali lo stesso Comune frena, benché pagati interamente dalla Regione. Se adesso Leoluca Orlando contesta queste assegnazioni, si pone una domanda: lo scandalo è solo questo? O non siamo, purtroppo, alla fatidica punta dell’iceberg, a lungo nascosta, e che ora richiede, in modo prepotente, riforme radicali e forti?
L'edizione di ieri del Giornale di Sicilia riportava invece quattro notizie, tutte legate da un filo comune: dal commento di Marco Romano che stigmatizzava i «silenzi indecenti» di politici e sindacalisti sulla vicenda di tanti ex Pip che si sono scoperti benestanti, alle critiche del segretario regionale della Cisl verso i dirigenti regionali ritenuti inadempienti nei controlli sui Pip; dal segretario provinciale della Cgil che addirittura manifesta inquietudine per il rischio di «creazione di altro precariato», fino ai rappresentanti sindacali della Gesip che segnalano che l'amministrazione comunale pagherebbe «due volte» la stessa attività, e si spingono a proporre soluzioni per organizzare in maniera più efficace alcuni servizi pubblici.
Le notizie sono a ben vedere tutte quante facce dello stesso psicodramma, quello che affida al sussidio, travestito da salario, l'unica modalità di sopravvivenza per tante famiglie.
Nella nebulosa indistinta dei siciliani «a stipendio» della Regione, resta sempre difficilissimo pervenire a una fotografia puntuale, come dimostra la recente vicenda della «Finanziaria bis» ancora alla ricerca dei soldi per 30 mila lavoratori in attesa. Nonostante l'encomiabile sforzo della Corte dei Conti, che sull'argomento si sta spendendo con determinazione e risultati, la mappatura dei siciliani, il cui reddito dipende dalla Regione, non è ancora completa.
Nel 2012 i dipendenti regionali, dirigenti e non, a tempo indeterminato e determinato, assommavano a circa 20.200 unità. C'era dentro il personale degli assessorati (con i Beni culturali che se ne intesta il 50 per cento), il personale Resais, Eas, Esa, Protezione civile, Italter-Sirap e i guardiani dei musei contrattualizzati nella Sas. Questo personale è costato 621 milioni di euro per lo stipendio base, cui vanno ad aggiungersi circa 90 milioni di salario accessorio, due milioni per missioni, sette milioni per indennità di mensa e 17 milioni per indennità varie, di cuffia, di servizio estero, di presenza. La spesa comprende anche: personale impiegato presso l'Aran, l'Arpa e il Fondo Pensioni Sicilia (33 milioni di euro), i cosiddetti «comandati» presso gli uffici giudiziari (cinque milioni di euro) e i dipendenti di altre amministrazioni «comandati» invece presso la Regione (altri 5 milioni di euro) e da questa pagati. In complesso si tratta di una spesa complessiva, tra paga base, accessori e indennità varie, di 770 milioni di euro. Tra i costi rientrano anche circa undicimila giornate di permessi sindacali.
Negli ultimi cinque anni sono state assunte 97 persone (prevalentemente familiari di vittime della mafia). La spesa regionale per salari e stipendi sale ancora quando si considerano gli operai per la sistemazione idraulico-forestale; si tratta di 18.300 unità che hanno lavorato per 2,1 milioni di giornate, con una media di 115 giornate a testa e con un costo complessivo di 224 milioni di euro. Ci sono poi gli operai impiegati nell'antincendio sotto il controllo del Corpo forestale: si tratta di altre 7.100 unità che hanno svolto quasi 940 mila giornate, con un costo di 99 milioni di euro (circa 130 giornate a testa). Il totale ci porta a circa un miliardo di euro, senza contare gli oneri sociali per circa 260 milioni di euro e i pensionati (circa 18 mila) notoriamente a carico del bilancio regionale (per 660 milioni).
Si arriva così a una spesa di oltre due miliardi per la sola Sicilia, mentre tutte le regioni italiane, ordinarie e speciali, messe insieme, spendono per il personale 6,5 miliardi di euro. Siamo appena l'8,5 per cento degli italiani ma spediamo il 30 per cento.
Qui si esaurisce la parte «facile» ed entriamo nella zona oscura. Le Province forse chiudono ma restano i loro 6.300 dipendenti; in rapporto alla popolazione sono 13 impiegati ogni 10 mila siciliani, un terzo in più che nella media nazionale, anche se in termini retributivi i dipendenti delle ex province percepiscono il 10 per cento in meno dei colleghi nel resto d'Italia. Resta ancora da chiarire il numero degli occupati e i relativi costi nelle 122 società partecipate dalle Province, di cui 63 in perdita strutturale e quindi l'ammontare delle perdite e degli eventuali debiti. Nei Comuni siciliani sono occupate invece 56 mila unità; in Sicilia c'è un impiegato comunale ogni 90 abitanti, in Lombardia uno ogni 160 abitanti. Integra il quadro del personale e dei relativi costi la sanità con i suoi 54 mila dipendenti e con un volume di spesa di 2.900 milioni di euro.
In questo tipo di ricognizione, c'è sempre il rischio di accomunare in un unico calderone profili professionali e di impegno lavorativo profondamente diversi tra loro. A quanti lavorano con impegno e professionalità, va tributato un doveroso riconoscimento, senza dimenticare però che il numero abnorme dei siciliani a stipendio «pubblico» è motivo, esso stesso, di rischio default per i conti pubblici. Resterebbero ancora da aprire i capitoli della formazione (8 mila unità), delle società partecipate (7 mila), delle ex municipalizzate (?), delle partecipazioni plurime (?), dei teatri (?), delle fondazioni (?), dei consorzi di bonifica(?), etc.. Centocinquanta-duecentomila persone? Chissà.
Ci vorrebbe insomma che qualcuno - attento alla Sicilia e magari disattento alla impopolarità - decidesse di avviare un'operazione trasparenza. Ovvero una riforma radicale che - nella consapevolezza che il personale non è intoccabile - preveda minori costi, mansioni chiare, gestione flessibile, revisioni retributive.