L’ultimo cinguettio (twitter) del presidente del Consiglio dei ministri riguarda il taglio del cuneo fiscale. È noto che un lavoratore con mille euro di stipendio costa al datore di lavoro due mila euro. Il cuneo, questo mostro che divora dall’interno il reddito dei lavoratori e la produttività delle imprese, è una peculiarità tutta italiana. Proprio ieri la Cgia di Mestre si è prodigata a misurarne l’incidenza.
In Italia il cuneo assorbe 296 miliardi di euro; di questi, 281 sono riconducibili all’Irpef, alle addizionali comunali/regionali Irpef ed ai contributi previdenziali; gli altri 16 miliardi di euro sono ascrivibili all’Irap. Stando alle intenzioni manifestate più volte da Renzi, il taglio dovrebbe essere di 10 miliardi di euro. Operare un taglio così consistente, imprimerebbe una accelerazione importante alla nostra economia.
Ma se è chiaro il punto di arrivo, diversa è la situazione per quanto riguarda il modo di arrivare all’obiettivo. Il governo sarebbe infatti ad un bivio: tagliare l’Irpef e quindi lasciare più quattrini in tasca a chi lavora oppure, in alternativa, tagliare l’Irap ed assicurare agli imprenditori una riduzione dei costi. Sembrerebbe scongiurata l’ipotesi di tagliare da una parte e dall’altra, con l’effetto di incidere poco.
L’ipotesi che sembra farsi strada sarebbe quella di tagliare i famigerati dieci miliardi di costo, scalandoli per intero dalla voce Irpef. Di tale soluzione si gioverebbero, in prima battuta, i lavoratori; ma poiché questi sono anche consumatori, ecco che il beneficio di una ripresa dei consumi, connessa ad una maggiore disponibilità di soldi in busta paga, arrecherebbe sicuri vantaggi al mondo del commercio e non scontenterebbe neanche gli imprenditori, che si troverebbero comunque a vendere le proprie merci in un mercato un po’ più ricco. C’è però l’altra faccia della moneta: dove reperire dieci miliardi di euro, escludendo per ovvie considerazioni la possibilità di battere la strada di nuove tasse? Si può ritenere che un po’ di quattrini si possano ricavare dai minori interessi sul debito pubblico.
Con oltre due mila miliardi di debito sul groppone, ma con la complicità di uno spread retrocesso ai livelli pre crisi, è possibile fare conto su due o tre miliardi di euro. Analogamente si stima di recuperare altri due o tre miliardi di euro grazie all’atteso rientro di capitali italiani che hanno preso la strada dell’estero. Resterebbero, prudenzialmente, da trovare circa 5 miliardi; il mago che dovrebbe farli saltare fuori dal cilindro è Cottarelli, l’uomo designato da Letta e confermato da Renzi che deve riuscire nell’improba operazione di tagliare la spesa pubblica.
Questa storia della spending review presenta non poche difficoltà; basti considerare che il taglio di ciascun euro corrisponde alla rinuncia da parte di qualcuno allo stesso ammontare. E nel Paese dei veti incrociati, la cosa più probabile è il richiamo alla resistenza più dura. Un utile suggerimento arriva però dalla Confindustria che ha riproposto il taglio drastico delle società a controllo pubblico, che in molti considerano una scorciatoia per aggirare i vincoli alle assunzioni da parte pubblica ed all’acquisto di beni e servizi, e per aprire le porte a qualche decina di migliaia di consulenti ed amministratori.
«Le amministrazioni pubbliche detengono quote in 7.712 organismi - spiega il Centro Studi confindustriale - con oneri per i contribuenti di 22,7 miliardi; tagliando le partecipate sono possibili risparmi per 12,8 miliardi di euro di spesa pubblica».
Come si può leggere nella tabella pubblicata sopra, la sola Sicilia ha 1.138 partecipazioni con un costo a carico della collettività di 627 milioni di euro; e, si badi bene, questi dati non comprendono i servizi pubblici. Insomma c’è sicuramente spazio per una incisiva manovra di contenimento dei costi, che escluda tagli lineari e si apra ad una verifica caso per caso circa l’utilità del mantenimento in vita delle singole strutture.
Se questa ardimentosa operazione andasse in porto, il taglio del cuneo fiscale potrebbe davvero concretizzarsi; in fondo, come ama dire il presidente Renzi, la differenza tra il sogno ed il programma sta tutta nella data. Solo che i tagli alla spesa non sono ancora al centro delle agende dei partiti. I riferimenti restano vaghi. Gli esempi tutt’altro che concreti. E prevale l’impressione di una sensazione diffusa nei partiti che ai tagli si possa resistere, resistere, resistere...
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