La nuova mappa del Mar Nero disegna nuove frontiere fra i Buoni e i Cattivi. Da una parte la nuova Ucraina uscita dalle «urne» di piazza Maidan, l'America delle ritornanti tentazioni neoconservatrici e l'Europa sparagnina dell'Austerity che promette vaghe generosità. Dall'altra la Russia «neoimperiale» di Putin e delle Olimpiadi di Sochi e la Crimea. Una divisione un po' schematica, soprattutto per l'Italia, il cui atlante storico rammenta pagine singolari. Per cominciare, senza la Crimea, forse, non ci sarebbe l'Italia unita.
O almeno sarebbe nata più tardi se a Cavour non fosse venuto in mente di intrufolare il suo Piemonte in una terra esotica in una guerra cui era del tutto estraneo, a difendere il sultano ottomano dallo zar di Russia. Oggi è un'abitudine, quasi un dovere mandar alpini o carabinieri in Irak o in Afghanistan, allora fu un colpo di genio di uno statista e patriota inventivo e spregiudicato: mandò i bersaglieri a dare una mano agli zuavi di Napoleone III e ai cavalleggeri della Carica dei Seicento. Gli inglesi ci guadagnarono il poema immortale di Tennyson, noi la memoria della Cernaia e il quadro in un museo storico di Istanbul, con un bersagliere ferito sorretto da due camerati turchi. Nonché - lo impariamo alle elementari - una sedia al tavolo della pace e un debito dell'ultimo imperatore dei Francesi, che saldò a Solferino scaraventando gli austriaci fuori d'Italia.
Un ricordino facile. Non, per carità, un esempio. Non ci sarà un bis. Al massimo ci chiederanno un voto all'Onu o alla Nato, un discorsetto pensoso. Lo scontro fra Crimea e Ucraina diventerà fra Ucraina e Russia e magari fra Russia e America, ma troverà dei limiti nel buon senso di Obama e di Putin. E poi la Crimea è il paese di Yalta, cinica spartizione dell'Europa. Però anche della prima arma batteriologica della Storia, per mano dei Mongoli dell'Orda d'Oro. Decimati dalla Peste Nera, pensarono bene di catapultarne i cadaveri dentro le mura di Kaffa, la città in Crimea che assediavano. Prima c'erano passati gli Unni, i Goti, i Bulgari, i Turchi, i Tartari. Li guidava un discendente di Gengis Khan Fondarono un khanato e lo chiamarono Krim, il nome con cui conosciamo la Crimea.
Prima si chiamava Tauride e grondava destino già nella tragedia e nel Mito dei Greci. Euripide ci mandò Ifigenia, prima profuga dalla guerra di Troia. Ben prima di Omero Giasone c'era andato alla conquista del Vello d'Oro, che pare guarisse le ferite, un anticipo del miracolo gentile di Florence Nightingale, Musa della Croce Rossa e contemporanea dei bersaglieri. I Tartari erano stato sottomessi settant'anni prima dalla Grande Caterina, pressappoco all'epoca in cui Mosca strappava l'Ucraina alla Polonia. Con la russificazione la penisola riacquistò molti suoi nomi europei, cioè ellenici. La capitale è ridiventata Simferopol e Sebastopoli la base navale in cui si affrontano due flotte rivali, eredi di quella sovietica.
La Crimea è una terra difficile e densa di sangue. Nella guerra civile che infuriò la Russia dopo la rivoluzione bolscevica fu l'ultima spiaggia dei «Bianchi». Quando si arresero, nel 1920, furono massacrati dai Rossi in 50mila. Nella seconda guerra mondiale la Crimea fu occupata dai tedeschi, accolti con simpatia da parte dei Tartari. Al ritorno dei sovietici tutti furono puniti con la deportazione nell'Asia centrale, dove la metà morì di stenti. La «pulizia etnica» era in corso il giorno in cui Roosevelt e Churchill furono accolti da Stalin a Yalta per il «vertice» che sancì la spartizione dell'Europa.
I superstiti poterono rientrare dopo il dissolvimento dell'Urss, ma già nel 1954 il successore di Stalin Nikita Kruscev, ucraino di nascita, aveva «trasferito» la Crimea dalla sovranità russa a quella ucraina. I Russi costituiscono il 60 per cento degli abitanti, gli Ucraini il 25, i Tartari il 12. Ora Mosca mobilita cacciabombardieri, Kiev denuncia una «aggressione» Washington distribuisce moniti, le due flotte di Sebastopoli si guardano più in cagnesco che mai. Una guerra di secessione? Un pretesto per i nostalgici della Guerra Fredda? O Yalta srotolerà tappeti rossi per un altro piccolo vertice di spartizione? Una nuova Peste Nera è un incubo remoto. E nessuno offre bersaglieri. Se vuole rimanere unita, l'Italia stavolta deve arrangiarsi.