Sarà un matrimonio felice quello tra Matteo Renzi e Angelino Alfano? Quale ruolo avrà l’Amante Impossibile di Renzi, quel Cavaliere che ne parla come un figlio suo («Non è un comunista!», ha ripetuto ieri) privato dalle beffe del destino di una eredità naturale? La lista dei ministri è sempre un affare complicato e Renzi ha imparato a sue spese che Giorgio Napolitano è assai più di un notaio incaricato di sottoscriverla. Ma in qualche modo se ne verrà a capo e mai come in questo caso i nomi dei ministri servono molto più alla forma che alla sostanza. Meriti ed errori del nuovo governo - da chiunque commessi - andranno tutti sulle spalle del presidente del Consiglio, tanto è enorme il carico di attese e di consenso (virtuale) che ne accompagna la partenza. Renzi è il comandante di una nave al varo che vede alle proprie spalle una folla festante sulla banchina e dinanzi a sé il mare in tempesta.
La sua destinazione è l’Isola del Tesoro: se vi approdasse, Renzi dovrebbe bruciare i vascelli, come in uso presso gli antichi navigatori, per impedire che l’ammutinamento dell’equipaggio lo lasci solo o lo costringa a tornare indietro. Il Tesoro che Renzi e la sua ciurma dovranno trovare è la Normalità: quattro anni di tempo (se vorranno) per trasformare l’Italia in un Paese come gli altri. Un Paese in cui un datore di lavoro non paghi 250 euro perché il suo dipendente ne metta in tasca cento; assuma e licenzi più o meno liberamente contribuendo alla riqualificazione del lavoratore licenziato,al quale lo Stato assicuri un sostegno temporaneo; il fisco non arrivi al punto da giustificare quello che un uomo di sinistra insospettabile come Stefano Fassina definì «evasione da sopravvivenza»; il recupero dell’evasione fiscale vada per intero a ridurre le imposte, a cominciare da quelle sui redditi più bassi;lo Stato riassuma su di sé i poteri che con la sciagurata modifica del titolo V della Costituzione hanno prodotto una metastasi nei conflitti istituzionali e nella spesa pubblica; un comune non si trasformi in una piovra di clientele grazie a un numero pressoché infinito di aziende municipalizzate; vengano riviste le norme perverse sulla responsabilità che intimidiscono e spesso paralizzano i funzionari, soprattutto quelli onesti, che nel terrore di sbagliare non firmano niente paralizzando ogni attività; venga abbattuta la selva di permessi che arricchiscono i funzionari disonesti, sostituendo i frustranti controlli preventivi con severi controlli successivi; vengano arginati gli strapoteri della magistratura in fatto di competenza territoriale oggi senza confini e quelli degli amministratori locali sulla localizzazione di impianti di interesse nazionale; venga fatta una spending review al dettaglio più che all’ingrosso.
Un Paese, infine, in cui il primo ministro comandi sul serio e il Parlamento ridimensionato nei numeri e nei poteri svolga un ruolo di controllo senza stravolgere ogni proposta che parta da Palazzo Chigi. Sono queste cose di destra, di sinistra o di semplice buonsenso, su cui blateriamo tutti da decenni senza costrutto? Basterà che il governo si avvii sulla buona strada perché - in accordo con Francia e Spagna - possa chiedere all’Europa quel ragionevole scostamento dal 3 per cento del deficit che agli altri due paesi è stato da tempo accordato per finanziare gli investimenti e mettere in circolo almeno 15 miliardi aggiuntivi (un punto di Pil). È un peccato che la riunione di maggioranza di ieri sia finita male: incagliata sulla legge elettorale che i piccoli partiti vogliono diversa da come Renzi e Berlusconi hanno convenuto, ma anche sulle richieste di programma avanzate da Alfano e non si sa fino a che punto gradite da Renzi. Il paese è allo stremo e da ogni parte è necessario qualche sacrificio.
Che poi Renzi e l’Amante Impossibile Berlusconi - oltre a consolidare il patto sulle riforme - abbiano convenuto che si vada alle elezioni già l'anno prossimo, fa parte di fantasie incontrollabili alle quali non è serio dar credito mentre l’Italia aspetta una svolta reale.
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