Un blocco indecente. È quell’insieme di arroganza, incompetenza, clientelismo che all’Ars sta ostacolando il voto che abolisce le Province. Una riforma su cui, a parole, tutti concordano per dare maggior efficienza alla macchina istituzionale e tagliare i costi. Nel buio dell’urna però si scatena la rabbia dei partiti che vedono minacciato il loro potere. Nessuno che, per un attimo, provi a guardare fuori dalla finestra per osservare la realtà. Lo spettacolo che vedrebbero è quello di un’Autonomia ormai sfregiata che sta divorando se stessa in un rito tribale e cannibalesco. La paralisi dell’Assemblea infatti impedisce l’approvazione di due leggi fondamentali per il futuro della Sicilia. Si tratta del provvedimento che sblocca la liquidazione dei crediti alle imprese e della nuova legge finanziaria per sostituire il testo bocciato dal Commissario dello Stato. Sono interventi che metterebbero in circolo nuove risorse assolutamente fondamentali per togliere un po’ di ruggine sui meccanismi dell’economia. Un incentivo importante all’occupazione e alla crescita. Invece niente. Tutto fermo. I problemi di potere, interno ed esterno ai partiti, hanno il sopravvento sullo sviluppo.
Perché accade tutto questo? Perché la maggioranza è ormai a pezzi. Si è rotta l’alleanza elettorale che aveva portato alla formazione di questa maggioranza e all’elezione di questo presidente. I contraenti erano il Pd e l’Udc che ormai hanno avviato percorsi molto lontani. Tanto a Palermo quanto a Roma. I siciliani che avevano votato quella coalizione sono rimasti orfani. Una condizione diventata ancora più grave perché non è chiara la direzione. Si tornerà alle urne oppure i due partiti troveranno nuovamente le ragioni della convivenza? Nell’incertezza la politica siciliana naviga a vista.
I risultatati si vedono. L’immobilismo è diventato totale. Sia all’interno dell’Assemblea sia fuori. Eppure esperti, osservatori, tecnici sono unanimi nel biasimare la sopravvivenza delle Province. Dimostrano, dati alla mano, che la frammentazione istituzionale provoca la paralisi.
Troppi livelli decisionali non sono più un segno di vivacità democratica ma solo un sistema di parcellizzazione del potere. Ridurre il numero dei corpi intermedi sarebbe certamente un metodo per avere un po’ più efficienza amministrativa e meno costi. Ma i partiti si oppongono perché l’abolizione delle Province manderebbe a spasso decine di consiglieri con tutto il loro corteo di portaborse e di famigli. Farebbe scendere la quantità di consulenze da assegnare e di amici di poter soddisfare. Insomma verrebbe interrotto un flusso di denaro pubblico indispensabile a tenere in piedi costosi apparati clientelari.
Nessuno che si preoccupi di guardarsi intorno. Nessuno che tragga le logiche conseguenze visto dal fatto che i soldi sono finiti. La Regione fa fatica a pagare gli stipendi ai suoi dipendenti e, invece di risparmiare, continua a spendere come se la stagione dell’oro fosse ancora in corso. Eppure il verdetto delle ultime elezioni era stato inequivocabile. Logico attendersi un cambio di rotta. Invece tutto continua come prima. Anzi: peggio di prima.