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Letta-Renzi, quel duello coinvolge anche l’Europa

Matteo Renzi sembra rassegnato a prendere il posto di Enrico Letta, ma Letta non è affatto disposto a farsi da parte. Non ne capisce le ragioni, dissente dal largo giudizio negativo sui primi dieci mesi di governo, trova inaccettabile che sia un compagno di partito a soffiargli l'incarico, rilancia proponendo un patto di coalizione.
Renzi, d'altra parte, è spinto - in pubblico e in privato - da un fronte vastissimo: la minoranza del Pd, Alfano, Casini, Scelta civica e anche da un numero crescente dei suoi. Ognuno gioca la sua partita: i tre alleati avrebbero una polizza d'assicurazione addirittura di quattro anni (salvo che i malus non superino troppo rapidamente i bonus), la minoranza del Pd spera in cuor suo che Renzi a palazzo Chigi si bruci e molli in ogni caso le redini del partito. I suoi amici temono che questo risultato lo si ottenga invece lasciando Letta a palazzo Chigi e sostenendo un governo a loro giudizio incapace di fare più di tanto. Resta il grande rovello: si può sostituire un compagno di partito a palazzo Chigi senza passare per la purificazione delle urne? Qualcuno evoca la drammatica staffetta Prodi-D'Alema del '98 che disseminò di piaghe la vita del Pd. Altri obiettano che le condizioni sono molto diverse e Renzi sarebbe sostenuto da quasi tre milioni di elettori che hanno votato alle primarie (e un paio ha votato per lui). Naturalmente un ruolo determinante lo giocherà di nuovo Giorgio Napolitano, che per la terza volta in ventisette mesi dovrebbe incoronare un presidente del Consiglio non eletto. Il capo dello Stato si è infuriato col suo ex pupillo Mario Monti dopo le anticipazione del libro di Alan Friedman in cui il giornalista americano rivela i contatti con il Quirinale per sostituire Berlusconi molti mesi prima che questi si dimettesse. E soprattutto per essere andato a raccontare tutto a Carlo De Benedetti già nell'agosto del 2011.
In realtà, incontrandomi a palazzo Chigi nell'ottobre del 2012 per il mio libro «Il Palazzo e la Piazza», Monti mi rivelò che già nella seconda metà del 2010 (dopo la rottura tra Fini e Berlusconi) D'Alema, Veltroni, Casini, Rutelli, Enrico Letta «e altre personalità del centrosinistra e del PdL» gli dissero di tenersi pronto. Mi raccontò inoltre che nel luglio del 2011 (non in giugno come ha detto a Friedman) quando lo spread dei titoli italiani superò largamente i 200 punti, Prodi gli disse che a quota 300 Napolitano lo avrebbe convocato. Per farlo aspettò invece che lo spread superasse i 500 punti. Era possibile che Napolitano non avesse mai sondato Monti in tutto questo ambaradam? Non era possibile. E infatti lo ha sondato. E ha studiato perfino un corposo dossier di Corrado Passera su quello che avrebbe dovuto fare il governo prossimo venturo. Storia che ha scandalizzato perfino un giornale fieramente antiberlusconiano come il Financial Times. Ma il sospetto che agita - e non da ora - i sonni di Berlusconi è che il capo dello Stato e le persone che abbiamo nominato siano pedine di un gioco internazionale più largo. Berlusconi - per storia e per carattere - era notoriamente estraneo al salotto buono europeo, Merkel e Sarkozy lo vedevano come il fumo negli occhi, la sua amicizia con Gheddafi e Putin indispettiva anche Obama, con il quale il Cavaliere non ha mai legato (la battuta sull'abbronzatura gelò la Casa Bianca). Di qui il comune desiderio di sostituirlo, il richiamo dei titoli di Stato italiani da parte delle banche tedesche, lo scatenarsi delle agenzie di rating e tutto il resto.
Ma c'è un altro episodio che dimostra la pesante interferenza della Merkel nella politica italiana. Ieri sera Friedman ha mostrato a «Porta a porta» un video in cui Monti racconta di essere stato spinto proprio dalla Cancelliera a presentare una propria forza politica alle elezioni dello scorso anno, nella convinzione di poter restare a palazzo Chigi con buona pace di Bersani e con il sostegno delle principali cancellerie internazionali. Diventeremo mai maggiorenni?

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