Un pentito ha accusato il sindaco di Altavilla di aver chiesto i voti alla mafia: ho provato un mix di sconforto e disgusto leggendo la notizia. Ho conosciuto questo sindaco: esponenti politici del centro sinistra di Altavilla hanno sostenuto la sua candidatura in una lista «civica» e anche io ho partecipato ad un comizio. Sono stato invitato da lui, insieme a tanti altri politici di destra e di sinistra, alla processione del paese, all'elezione del consiglio comunale dei piccoli e persino alla consegna di un bene confiscato alla mafia ad un'associazione che si sarebbe occupata di gestirlo a fini sociali. Molte persone vicine a quell'amministrazione hanno addirittura gestito il seggio per le primarie del Pd.
Ho piena fiducia nella magistratura, farà il suo dovere. Sono garantista e naturalmente auguro alle persone coinvolte di venir fuori da quest'indagine senza conseguenze. Già una volta, nella mia vita politica, mi sono ritrovato ad avere a che fare con persone incensurate coinvolte, successivamente, in fatti di mafia. Queste vicende, tuttavia, impongono delle riflessioni. A partire dall'assoluta impotenza della politica della quale, con rabbia, si deve prendere atto. Un tempo c'erano le sezioni territoriali, funzionavano le antenne nei quartieri e nei paesi. Anche le pietre conoscevano i capimafia e le persone «‘ntise», oggi fortunatamente nelle patrie galere grazie alla costante e straordinaria azione della magistratura e delle forze dell’ordine. Adesso sembra che sia saltato tutto. Non si conoscono più le dinamiche di una comunità, i partiti non selezionano più un tubo. La mafia si è ritratta e cerca di riorganizzarsi coinvolgendo insospettabili che vogliono farsi scudo delle relazioni con i partiti, se di sinistra e storicamente avversi, ancora meglio. Ricercano addirittura, contatti con le associazioni antimafia. Per non incappare in relazioni pericolose, che fai? Provi a chiedere notizie alle forze dell'ordine e giustamente, se fanno correttamente il proprio lavoro, non ti diranno mai se un tizio è sotto indagine o meno o se è il caso di frequentarlo. Invece ci sono millantatori professionisti che vantano conoscenze e informazioni e su tutto ciò costruiscono carriere eccelse. Un po' come i paparazzi che immortalano i vip in compagnie compromettenti e minacciano la diffusione se in cambio non ricevono denaro.
L'informazione spesso non aiuta, confonde le informative con gli avvisi di garanzia, gli avvisi di garanzia con i rinvii a giudizio, la condanna in primo grado con la Cassazione. L'opinione pubblica, giustamente, sdegnata dalla malapolitica cavalca tutto. La parola onorevole che in passato suscitava «troppo» rispetto, ora «solo» rabbia e odio. Nemmeno i professionisti dell'antimafia 2.0 aiutano. Chi dice che tutto è mafia e costruisce la sua fortuna su questo, contribuisce alla massificazione: tutto è mafia, niente è mafia. Se il tuo comportamento è corretto, esci indenne da qualsiasi indagine e questa è una garanzia, ma per il circuito mediatico sei comunque colpevole per sempre. Ho iniziato a far politica nel '93, l'anno delle stragi. In momenti di esaltazione ho anche pensato come sarebbe stato bello morire per mano di un mafioso che avevo combattuto. Pensavo di finire sui giornali per quello, mi è capitato il contrario. Puoi decidere di tapparti in casa, puoi accettare l'irredimibilità della tua terra. O rischi e continui a coltivare il sogno di una società migliore.
E allora decidi che lavorerai con più forza in Parlamento. Ma la sfida più grande è quella per ricostruire il tessuto democratico, questa è l'emergenza di questo paese. Ridare dignità alle autorità morali di un quartiere, di un paese, quando quelle di una nazione sono sotto attacco è difficile. Il prete che non sa dir messa, la maestra che compila una pagella sbagliata, il sindacalista che sbaglia una pratica. Tutto è in discussione. Vanno messe di nuovo insieme le tessere di un puzzle che si è scomposto. Ci dobbiamo provare.
* RESPONSABILE NAZIONALE WELFARE DEL PD