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Gian Vito Graziano «Il territorio è malato La responsabilità è della politica»

Pisa in queste ore sembra uscita dalle pagine della Divina Commedia: Muovasi la Capraia e la Gorgona che faccian siepe dell'Arno in su la foce sì ch'egli anneghi in te ogni persona. Così l'invettiva di Dante nel Canto dedicato al conte Ugolino. Ma stavolta il Cielo c'entra poco. C'entra di più il cielo con la «c» minuscola, con le sue precipitazioni forse esagerate. C'entra soprattutto l'esagerata incuria degli amministratori ma anche degli amministrati. Così non c'è bisogno che due isole miracolosamente si muovano a chiudere la foce dell'Arno. Dice Gian Vito Graziano, presidente del Collegio nazionale dei Geologi: «Basta non avere provveduto alla cura del territorio con provvedimenti adeguati, intelligenti e con un serio criterio di priorità».


L'ALLARME A PISA E IN TOSCANA, IL NUBIFRAGIO DI ROMA, LA FRANA CHE HA FATTO DERAGLIARE IL TRENO IN LIGURIA: SIAMO DAVVERO DI FRONTE AD ALLERTA METEO TALI DA GIUSTIFICARE QUESTI EVENTI IMPROVVISI?
«Di improvviso non c'è più nulla. È tutto annunciato. Non si può continuare a pensare che siamo un Paese di permanenti calamità naturali. Siamo, invece, soggetti all'incuria. Quello che è successo in questi giorni dimostra che non è questione di clima. Gli allarmi sui cambiamenti climatici, peraltro non certo campati in aria, non possono tuttavia diventare un'attenuante. La pioggia di questi giorni non può essere considerata come un evento straordinario. Si dica invece che il nostro Territorio è malato e che in questa malattia c'è una seria responsabilità politica e sociale».


VUOL DIRE CHE NEANCHE IL «CITTADINO SEMPLICE» È ESENTE DA RESPONSABILITÀ?
«C'è sicuramente un problema di consapevolezza del fenomeno. La gente non ha ben chiara l'evoluzione della malattia del territorio in Italia. Questo fa venire meno la spinta nei confronti della politica. Recentemente è stato pubblicato un sondaggio sulle paure degli italiani. Al primo posto ci sono le paure legate all'inquinamento, alle mutazioni climatiche. Tutti aspetti considerati più temibili del dissesto del territorio. Io da cittadino il mio sindaco lo giudico su altre cose, non sul suo operato nei confronti della salvaguardia del territorio. Allora, in molte situazioni c'è da chiedersi: voglio la piazzetta o l'argine del fiume? Non è un problema da nulla. Certo è difficile ma le cose stanno lentamente cambiando. La percezione del rischio è maggiore rispetto a 10 anni fa. Siamo in cammino, ma troppo lentamente».


PROVIAMO A DELINEARE UN PERCORSO REALISTICO E CHE PUÒ ESSERE ATTIVATO SUBITO.
«Si dice sempre che il problema è quello del reperimento dei fondi. La legge di Stabilità, quella che una volta si chiamava “finanziaria”, prevede solo 30 milioni di euro. Tutto vero ma il problema non è quello. Quando la regione Sardegna ha stanziato 300 mila euro perché i Comuni si dotassero del geologo comunale, in quell'occasione e all'indomani di un avvenimento drammatico e distruttivo, i soldi li hanno trovati. E che dire dei finanziamenti europei che quasi mai vengono spesi per intero? L'ho detto in tante occasioni: qualche aereo da caccia in meno potrebbe risparmiarci un sacco di lacrime. Senza contare il fatto che la realizzazione delle opere di messa in sicurezza del territorio comporta la creazione di nuovi posti di lavoro, mette in movimento il volano dell'indotto. Insomma è un segno di vita della società e dell'economia».


PROVIAMO A SCENDERE NEL DETTAGLIO?
«Comincerei con il decidere quali sono le città che hanno l'esposizione maggiore ai rischi. Questo deve essere il criterio. Dopo la tragedia di Sarno, in Campania, nella quale morirono 160 persone, il governo emanò un decreto che imponeva ai comuni di dotarsi di piani di assetto idrogeologico. Adesso quindi i piani ci sono. Magari, ripeto, non sono perfetti ma ci consentono di conoscere le situazioni. Il problema è che, naturalmente, conoscere le situazioni non basta. La conoscenza deve essere la base sulla quale viene messa a punto una strategia fondata su scala delle priorità e il criterio non può che essere quello dell'esposizione al rischio. Ma mi rendo conto che questo comporta l'ammissione che finora la gestione del territorio ha obbedito ad altri interessi. In alcuni casi per altro inconfessabili e che, come dicevo prima, hanno trovato la paradossale, diciamo così, complicità del cittadino. Ho sempre ricordato che in questo Paese ci sono centri abitati che non dovrebbero esistere perché la natura del territorio li rende a rischio di essere spazzati via dopo qualche ora di acquazzone. Mettere le mani a questioni del genere, mi rendo conto, presuppone un cambiamento della qualità dei rapporti tra politica e cittadino. E non è facile né a portata di mano anche se, in termini di consapevolezza, qualche progresso si è fatto».


LEI È IL MASSIMO ESPONENTE NAZIONALE DELLA CATEGORIA DEI GEOLOGI. QUALE RUOLO IMMAGINA PER QUESTA FIGURA PROFESSIONALE?
«L'Italia è un paese di pochi esperti del territorio. Bisognerebbe inserire stabilmente nelle istituzioni questa figura professionale in grado svolgere un ruolo di grande rilevanza. Penso per esempio alla figura del “geologo condotto” che abbia il solo e unico scopo (ma anche la responsabilità) di sottoporre il territorio ad un controllo costante. In presenza di un'allerta meteo l'esperto verifica, costruisce il suo scenario, calcola i rischi e avverte il sindaco. Questo nei momenti in cui si determinano situazioni di rischio. Ma anche nelle condizioni lontane da rischi immediati l'esperto potrebbe segnalare situazioni potenzialmente pericolose e suggerire interventi. Certo, si tratta di mettere le mani alle risorse degli enti locali. Ma quando si tratta di spesa, spesso si deve confrontare quella che si fa per dare a un'amministrazione un assetto ordinario e quello che si spende quando la situazione precipita e si tratta, diciamo così, di pagare i danni. Il costo delle emergenze è maggiore di quello della prevenzione ordinaria. Senza contare che chi pensa a queste cose investe nel futuro della sua terra».

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