Non è chiaro se Stefano Dambruoso, ex pm e oggi deputato di Scelta Civica, abbia davvero picchiato la collega grillina oppure se si è trattato solo di un “contatto fisico” un po’ troppo enfatizzato dalla presunta vittima. Indiscutibile, invece, lo schiaffo alle istituzioni. Visibile e sonoro. Un conflitto che il nostro Paese non può permettersi. Lo spettacolo andato in scena a Montercitorio in questi giorni non è di quelli che possono riconciliare gli elettori con la classe politica. Per carità non è certo la prima volta che l’aula di Montecitorio si trasforma in un ring. Stavolta, però, sembra proprio che i rappresentanti del Movimento Cinque Stelle abbiano passato il segno. Dapprima attaccando il Capo dello Stato con affermazioni talmente offensive da prefigurare il reato di vilipendio. Poi costringendo la presidente Boldrini a trincerarsi nel suo studio. Con questi gesti i grillini hanno superato i confini del confronto democratico ancorché aspro. Sono finiti nelle sabbie mobili dell’eversione. Sarà anche che la campagna elettorale è già iniziata e gli esponenti del Movimento vogliono dimostrare la loro estraneità totale al teatrino della politica. Resta il fatto che hanno portato l’asticella fuori dal campo. Gestacci, offese, provocazioni. Già in passato qualcuno aveva promesso di trasformare l’aula “sorda e buia” in un bivacco di manipoli. Una minaccia che aveva aperto vent’anni di dittatura. Con il loro comportamento i grillini non si limitano a paralizzare il Parlamento: lo offendono. E questo non è assolutamente accettabile. In nessun caso e per nessuna ragione.
Tanto più che le risse alla Camera hanno come spettatori una platea di cittadini sempre più preoccupati e irritati. Difficile spiegare scontri tanto aspri su temi, come la riforma elettorale, certamente importanti per il funzionamento delle istituzioni. Tuttavia estranei alle vere urgenze del Paese. I temi che colpiscono gli italiani sono altri. C’è l’economia che non tira nonostante le ripetute garanzie sull’imminente ripresa. Sarà anche così ma ancora il Paese non se ne accorge visto che la disoccupazione, invece di scendere, continua a crescere. Negli ultimi sette anni è addirittura raddoppiata. Le imprese vanno via. Non c’è solo Fiat che decide di portare altrove il quartier generale. C’è Electrolux che vuole chiudere uno stabilimento e mandare a casa 1.200 persone perché trova più conveniente produrre lavatrici, lavastoviglie e frigoriferi in Polonia che non in Friuli. E che dire di Pirelli? Ieri in Borsa si erano sparse le voci di un passaggio di mano fra Marco Tronchetti Provera, presidente e maggior azionista, e la banca d’affari americana Goldman Sachs. L’indiscrezione è stata smentita ma l’amaro in bocca è rimasta: se le grandi imprese fuggono che cosa resterà del tessuto produttivo italiano? A questa domanda dovrebbero rispondere i parlamentari. Altro che perdere tempo a picchiarsi fra di loro.