Si è conclusa da poche ore la direzione nazionale del PD. È passata ad ampia maggioranza una profonda rivisitazione del sistema politico-istituzionale del nostro Paese. Con un occhio rivolto alle reazioni, può sembrare curioso che a tenere banco non sia tanto l’ipotesi di ridimensionare le Regioni e neppure quella di mandare a casa un po’ più di 300 senatori; non tiene banco neanche l’idea di arrivare ad un innovativo doppio turno, né si mostra timore per l’abrogazione di ufficio dei veti incrociati. No; a tenere banco è la storia delle preferenze. Si dimostra così quanto sia avvertita la questione delle investiture per diritto… politico!
Il tema dei parlamentari italiani «nominati», scelti cioè dalle segreterie dei partiti ed ufficializzati dagli elettori, ha provocato un rigetto nell’opinione pubblica. Nessuno, tranne forse i grillini ed i leghisti, si arrischierebbe a riproporre agli elettori questo metodo. A ben vedere anche la proposta di legge elettorale Renzi-Berlusconi, si pone il problema della rappresentanza effettiva, ma affida la soluzione ad un blando rimedio: sottoporre agli elettori un elenco con pochissimi nomi, il cosiddetto listino corto. Non sembra una gran soluzione, restando affidata ai partiti la scrittura dei listini, corti o lunghi che siano. Sull’idea di affidare la scelta ai cittadini attraverso le preferenze, si è obiettato che il meccanismo farebbe lievitare i costi della politica, tanto i costi visibili (per esempio i manifesti elettorali) che quelli invisibili (per esempio regalie come i buoni benzina); ma questo problema potrebbe benissimo essere risolto a monte con rigidi e controllati criteri di spesa da parte dei candidati. Dai fautori del meccanismo della “nomina” viene richiamato anche il diritto-dovere dei partiti di selezionare una classe dirigente con adeguati standard morali e professionali; ma non pare obiettivamente che ai tempi del porcellum questo criterio abbia prodotto risultati adeguati (anzi...). Che fare allora? L’obiettivo primo deve restare quello di restituire agli elettori il diritto di scelta; quanto alle modalità non mancano le alternative. Se proprio non si vogliono le preferenze, un sistema di primarie vere ed istituzionalizzate sarebbe una risposta; certo le regole delle primarie dovrebbero essere note a monte e sottratte al libero arbitrio dei partiti. In alternativa la scelta potrebbe essere quella dei collegi uninominali, eleggendo un solo candidato per collegio come negli USA o ricorrendo al ballottaggio tra i primi due, come ad esempio in Francia. Non difettano quindi le opzioni; servirebbe invece la voglia di restituire alla gente un diritto troppo a lungo negato.