È accaduto ben di più di quanto non fosse immaginabile. Il vertice di ieri pomeriggio nella sede del Partito democratico ha prodotto risultati inattesi. L'ordine del giorno dell'incontro fra Matteo Renzi e Silvio Berlusconi prevedeva in origine solo un protocollo comune sulla legge elettorale. Nel corso delle due ore abbondanti di faccia a faccia è stato invece trovato un terreno comune anche sulla riforma istituzionale e sul tema della governabilità del Paese.
Se fossimo appena scesi da Marte non ci stupiremmo: due leader politici che si incontrano e danno tanta enfasi alle loro parole devono per forza segnare punti importanti dell'agenda politica del Paese. Ma siamo sulla terra e siamo in Italia e conosciamo quante serpi si nascondono nell'erba. Già nelle reazioni a caldo da parte di altri esponenti politici si sentono parole metalliche. Perché al di là di tutto c'è un significato profondo che emerge dal vertice di ieri. Dice che, al declinare della Seconda Repubblica, ci sono solo due leader sulla scena politica italiana: il vecchio protagonista di vent'anni che vuole restituito l'onore prima della possibile uscita di scena per via elettorale. Il giovane rampante che aspira a prenderne il posto. A unirli è l'agenda. Parla di riforma istituzionale a cominciare dall'abbattimento dei costi della politica e l'abolizione del Senato. Compare il titolo V della Costituzione che, modificato maldestramente dal centro-sinistra nel 2001, ha provocato la totale paralisi delle decisioni. Nel rimpallo di responsabilità fra Stato e Regione fiorisce solo il contenzioso.
Non stupisce che l'intero protocollo siglato da Renzi e Berlusconi marci in direzione della governabilità. Non a caso il sindaco di Firenze parla esplicitamente della necessità di ridurre il potere di veto delle formazioni minori. Un annuncio che ha suscitato la risposta piuttosto stizzita di Angelino Alfano che si è sentito messo da parte. Reazione assolutamente comprensibile e anche giustificabile: è chiaro infatti che una riforma così importante come quella ipotizzata da Renzi e Berlusconi non può essere fatta contro qualcuno ma puntando sull'inclusione democratica. A condizione però, che la ricerca di un largo consenso non si risolva nella paralisi come sempre accaduto finora.
Perché questa è la vera minaccia: che le forze ostili al cambiamento trovino le ragioni per coalizzarsi e bloccare ogni tentativo di riforma. Tante volte in passato abbiamo visto scatti brucianti che si sono esauriti come falò estivi. Il rincorrersi dei brutti ricordi però non deve impedire il sogno della svolta. È nell’interesse generale un’intesa che consenta alle maggioranze di governare e impedisca ai piccoli partiti di bloccare i grandi. È nell’interesse di parte il voler pesare al di là del consenso e far risorgere un antiberlusconismo senza prospettive. Speriamo bene. Con tutto il pessimismo del caso.
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