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Governo nazionale, cambiare passo o cambiare esecutivo

Convocata alla 7,30 del mattino, come è consuetudine con Matteo Renzi, la segreteria del Pd a Largo Nazareno si è conclusa ieri senza un attacco, una contestazione, neanche una velata critica al governo Letta. La cosa ha del sorprendente, essendo ormai pratica quotidiana quella di lanciare strali con assiduità al governo. Questa contestazione continua potrebbe anche rientrare nella normale dialettica politica; se non ché Renzi, in quanto segretario del Pd, è comunque il primo azionista della maggioranza politica; il presidente del consiglio dei ministri è notoriamente un autorevole esponente dello stesso Pd; e questo governo è stato fortemente voluto, al culmine di una drammatica crisi finanziaria, da un Presidente della Repubblica che, fatta salva la terzietà del suo ruolo, resta tuttavia personalità di spicco della stessa area politica.
E poiché la polemica non fa che “figliare” altra polemica, ieri non ha tardato a farsi sentire l’opposizione interna del Pd, che ha duramente criticato Renzi a proposito di trattative sulla legge elettorale, con l’invito a «non incontrare un pregiudicato (leggasi Berlusconi) nella sede del Pd»! Nell’opinione pubblica si fatica a cogliere il significato recondito - ammesso che ci sia - di questo richiamo continuo al fare, un ritornello ossessivo sulla inutilità del galleggiare, un richiamo costante alla fiducia reciproca (tra Renzi e Letta) smentito un attimo dopo da una critica puntuale. Ora nessuno italiano, pur con una minima dote di ragionevolezza, può mettere in discussione la necessità di cambiare passo, di accelerare sulla strada della riforme e di ripensare questo Paese. Ma è possibile, ci si chiede, dedicare a questo insistente richiamo la stessa attenzione (e sembra lo stesso tempo) che andrebbe più ragionevolmente dedicata alla soluzione dei problemi?
Ed invece, un giorno sì ed uno pure, si attiva puntuale il pungiglione renziano su questioni che nel merito sono più che condivisibili ma che, sul piano del metodo, suscitano non pochi dubbi.
Le critiche, ad esempio, di Renzi sulla legge di stabilità, hanno ben più di un fondamento. Come ricorda il quotidiano economico Italiaoggi, la legge di stabilità 2014 è composta da ben 748 commi, e ogni comma costituisce in pratica una nuova legge. Le nuove disposizioni di carattere fiscale sono centinaia. Soltanto i commi che riguardano l'Imu sono una novantina; in sostanza, 90 leggi nuove di zecca, scritte per lo più in modo incomprensibile, per tacere che d’ora in poi viene introdotta la Iuc, imposta comunale unica, che poi tanto unica non è, in quanto si compone di altre tre imposte: l'Imu sugli immobili, la Tari sui rifiuti e la Tasi sui servizi indivisibili. In definitiva, però, è il metodo quello che non convince.
Si vuole che questo governo “cada” per andare a nuove elezioni? Lo si dica. Si vuole che resti in sella per avviare, almeno, il processo riformistico, alla vigilia del semestre a guida italiana dell’Europa? Si agisca di conseguenza. Mentre il Pd fa i conti con i suoi guai, anche il centrodestra si dibatte in una difficile fase di riscrittura dei rapporti di forza tra le sue due nuove costole: l’una che vuole la crisi subito e l’altra che affida il proprio futuro alla prosecuzione della legislatura. Le occasioni di fibrillazione quindi non difettano. E’ mai possibile che cambiano gli scenari, cambiano gli uomini, cambiano le generazioni e l’interesse generale resta sempre in seconda linea rispetto agli interessi dei partiti e dei singoli?

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