Diciamo subito che la legge per il bilancio e la finanziaria, in corso di approvazione all'Ars, non ci piacciono. Ovviamente non si tratta di un giudizio politico, che non compete al cronista, ma del punto di arrivo di una riflessione da condividere con i lettori. Quella che una volta si chiamava legge di «bilancio e finanziaria», ora si chiama legge di stabilità.
Non sembra fare molta differenza, ma la nuova definizione, voluta espressamente dall'Europa, vuole puntualizzare fin dalla denominazione, il primo obiettivo dei documenti contabili pubblici, che deve essere quello di restare sempre coerenti con il principio irrinunciabile della tenuta dei conti. Il primo aspetto critico della legge siciliana di stabilità è che essa finisce con l'essere il parafulmine attraverso il quale si scaricano tutte le aspettative e le tensioni delle forze politiche, dal momento che da decenni è andata in soffitta la buona prassi di intervenire con leggi di settore. In effetti il confronto politico ha costantemente eluso - e continua a farlo - la disciplina organica delle materie di primario interesse regionale e quando, per forza di cose, queste impongono la ricerca urgente di una soluzione, risulta più agevole intervenire con un articolo spot in "finanziaria", finendo con il creare l'ennesimo intruglio imbevibile e restando ben lontani da un approccio definito e da una soluzione di caratura riformistica. È quasi sorprendente che nessuno abbia pensato, dopo la clamorosa bocciatura in Aula del disegno di legge sulle province, di spacchettare il testo bocciato per insaccarne magari un paio di articoli in finanziaria! In ultima istanza le leggi di stabilità, questa come le precedenti, contengono tutto e di tutto, ma solo di rado risolvono qualcosa.
Il secondo aspetto critico della legge di stabilità riguarda la scarsa considerazione per la... stabilità dei conti; come in ogni bilancio familiare la sopravvivenza è infatti assicurata dalla certezza delle entrate, dalla individuazione delle spese ritenute prioritarie e dal principio cardine di mantenere bene in equilibrio le prime e le seconde. Nei conti della Regione si è affermata invece una visione del tutto diversa e quanto meno "originale" dell'equilibrio di bilancio, di volta in volta raggiunto mistificando il dato delle entrate e facendo apparire come reali poste a dir poco irreali. In alternativa, ma più spesso in aggiunta, alla enfatizzazione delle entrate è stato messo in campo uno strumento ancora più insidioso: il ricorso al debito. Con una pesante aggravante. La Regione nella sua storia non si è indebitata per promuovere il sistema imprenditoriale locale, per agevolare l'incontro tra la domanda e l'offerta di lavoro, per imporre all'attenzione del mondo il proprio straordinario patrimonio culturale, per agevolare i collegamenti stradali, per realizzare una serie di depuratori, per dotare il territorio di un sistema ferroviario analogo al resto d'Italia, etc, etc. No; si è indebitata per sostenere un … insostenibile flusso di spese correnti, favorire il sovra impiego di risorse umane, pagare stipendi e pensioni, giocare al monopoli della regione imprenditrice, integrare i percorsi scolastici e lavorativi con un surreale fervore formativo, fare nuovi debiti, pagare alti tassi di interesse, disseminare privilegi e prebende, etc, etc. La Regione spende spesso quello che non ha; vive in definitiva al di sopra delle proprie possibilità.
Il terzo aspetto critico riguarda l'idea stessa che in molti si sono fatta del ruolo che l'Ente Regione è chiamato, da una norma costituzionale, a svolgere in Sicilia. Ricorrendo ad una metafora gastronomica, le forze politiche e di governo dedicano ogni energia ad affettare e distribuire una torta (le entrate regionali) che purtroppo è stata consumata da tempo. La torta che si vorrebbe spartire a tanti commensali è quindi un ectoplasma! Tutti gli appelli che si alzano a favore dello "sviluppo" e del "lavoro" celano il più delle volte una volontà infingarda e che trova il proprio appagamento nella mera elargizione di un beneficio a qualcuno. È un terribile malvezzo e forse un crimine morale, condurre una battaglia politica per contrastare un taglio di spesa o per promuovere una nuova spesa, ignorando persino l'idea che a tali proposte debba corrispondere una puntuale copertura finanziaria. Il bilancio regionale è teso alla stregua di una corda di violino; ogni ulteriore sovraccarico (spesa) determinerebbe il superamento del carico di rottura. Ma se nel gioco del tiro alla fune tutto al più si rischia un capitombolo dei giocatori, qui si rischia molto, ma molto di più. Dovrebbe essere un anelito morale porsi il problema di creare nuova ricchezza prima di pensare come spartirla; dovrebbe essere un affanno continuo trovare copertura finanziaria a qualunque proposta; eppure questo approccio non sembra trovare supporter tra chi politicamente rappresenta la Sicilia ed i Siciliani e che in definitiva, con i propri comportamenti, agisce spesso contro la Sicilia ed i Siciliani. Mentre la presunta "maggioranza" sembra pervicacemente dedita a rimuovere dal proprio orizzonte la sostenibilità dei conti pubblici, lascia sconfortati che la cosiddetta "opposizione" annunci talora voto contrario, prometta talvolta un atteggiamento "possibilista" (chissà poi che significa?) e chieda in contropartita di mantenere in Sicilia….. il prezzo della benzina più alto d'Italia.
Il Giornale di Sicilia, proprio nei giorni scorsi, ha sollevato il problema della crisi che investe le raffinerie petrolifere, anche in Sicilia; ma certo colpisce la puntuale e tempestiva convergenza per ridurre le royalties pagate dai petrolieri alla Regione Siciliana, a prescindere ed al di fuori di qualunque intervento organico e ragionato sulla materia energetica, in una regione che da sola tiene in piedi l'intero Paese, riscuotendone soltanto costi.
I lettori avranno riscontrato nelle considerazioni fin qui fatte l'idea di sottrarsi volontariamente al tema degli equilibri, delle scelte e delle responsabilità di questa o quella componente politica, di questo o di un precedente governo; l'intento, come ci auguriamo risulti chiaro, è di argomentare che il cambiamento (profondo) del modello Sicilia non sia più una semplice opzione.