Ancora una volta Papa Francesco ha sorpreso tutti, questa volta con il riferimento alle unioni gay, nel suo discorso ai superiori generali degli ordini religiosi del 29 novembre scorso. «Le unioni tra persone dello stesso sesso - ha osservato il Pontefice - pongono sfide nuove a livello educativo che per noi a volte sono persino difficili da comprendere». Apriti cielo! Si è parlato di una «apertura di Francesco alle coppie gay» e si sono rievocate le recenti riflessioni, sull'aereo che lo riportava in Italia da Rio de Janeiro, quando aveva detto ai giornalisti: «Se uno è gay e cerca il Signore, chi sono io per giudicarlo? Non si devono discriminare o emarginare queste persone, lo dice anche il Catechismo. Il problema per la Chiesa non è la tendenza. Sono fratelli».
Nell'editoriale di domenica 29 dicembre Eugenio Scalfari ha addirittura sostenuto che Francesco è un pontefice «rivoluzionario», perché «ha abolito il peccato». Secondo il giornalista, il papa «abolisce il peccato servendosi di due strumenti: identificando il Dio cristiano rivelato da Cristo con l'amore, la misericordia e il perdono. E poi attribuendo alla persona umana piena libertà di coscienza».
Si muove su questa lunghezza d'onda una parte consistente dell'opinione pubblica, che ritiene di vedere nelle prese di posizione del nuovo pontefice una svolta rispetto ai principi dell'etica cattolica. «Lo dice anche il Papa: Dio perdona tutto, anzi, non c'è più neppure bisogno di perdonare, perché il peccato lo hanno inventato i preti. E ognuno, perciò è libero di comportarsi secondo la propria coscienza, non ci sono più regole oggettive!».
Sull'altro fronte, molti rigidi difensori della tradizione cattolica mugugnano a bassa voce, perché in fondo condividono - sia pure con reazioni di segno opposto - questa interpretazione delle prese di posizione del Papa e sono sempre più allarmati, di fronte a quella che, a loro avviso rischia di essere una liquidazione della dottrina tradizionale e un regalo fatto alla immoralità dilagante.
In realtà, basta rileggere l'intervista rilasciata qualche tempo fa da Bergoglio alla «Civiltà Cattolica» per rendersi conto quanto siano lontani, sia gli uni che gli altri , dall'aver compreso la sua logica.
Dall'inizio del suo pontificato, questo pontefice ha chiaramente posto in primo piano l'urgenza che la Chiesa esca dai propri recinti ingessati e si avventuri coraggiosamente verso le periferie, non solo spaziali, ma esistenziali, per portarvi la «buona notizia» (questo significa «vangelo») della salvezza. Ora, egli dice nell'intervista, «l'annuncio di tipo missionario si concentra sull'essenziale, sul necessario, che è anche ciò che appassiona e attira di più, ciò che fa ardere il cuore, come ai discepoli di Emmaus». Ridurre l'insegnamento della Chiesa a una serie di divieti e di condanne - come purtroppo sembra essere accaduto nell'immaginario collettivo - è assolutamente fuorviante. «La proposta evangelica deve essere più semplice, profonda, irradiante. È da questa proposta che poi vengono le conseguenze morali (...) L'annuncio dell'amore salvifico di Dio è previo all'obbligazione morale e religiosa. Oggi a volte sembra che prevalga l'ordine inverso».
Insomma, la fede in Cristo, la disponibilità ad accogliere il suo amore e ad offrirlo agli altri, specialmente ai più poveri, con gesti concreti di fraternità, vengono prima delle regole di ordine etico che ne sono la logica conseguenza. Non si tratta di abolire queste ultime! Ma esse diventano comprensibili e praticabili solo quando si coglie la rivoluzione che Cristo è venuto a portare nelle nostre vite.
Non ci si sposa con una donna per assoggettarsi a un codice di regole, per esempio a quella della fedeltà. Ma se la si ama davvero, le si è fedele. Che amore sarebbe, altrimenti? Non si tratta, allora, di mettere in dubbio i principi della morale, ma di puntare sul punto essenziale - l'amore - che le giustifica. Diceva Francesco nell'intervista: «Non possiamo insistere solo sulle questioni legate ad aborto, matrimonio omosessuale e uso dei metodi contraccettivi. Questo non è possibile. Io non ho parlato molto di queste cose, e questo mi è stato rimproverato. Ma quando se ne parla, bisogna parlarne in un contesto. Il parere della Chiesa, del resto, lo si conosce, e io sono figlio della Chiesa, ma non è necessario parlarne in continuazione».
Non è vero, allora, che il Papa è rivoluzionario perché, in nome dell'amore, ha abolito la fondamentale distinzione tra il bene e il male, e, di conseguenza, il peccato. Al contrario, lo è nella misura in cui, seguendo il Vangelo, sta cercando di far capire il nesso inscindibile che c'è tra l'amore e una coerente condotta etica. Senza l’uno, l’altra scivola nel moralismo; ma senza scelte corrispondenti, l'amore si svuoterebbe, come quello di un marito che tradisse continuamente la moglie dicendo di amarla moltissimo.
Se il Papa non sta eliminando la morale, meno che mai sta avallando le unioni gay. Basta leggere il suo discorso ai superiori religiosi per rendersi contro che egli, in esso, si preoccupa solo del problema dell'educazione alla fede dei figli. Né, ancora più a monte, rifiutando di giudicare la coscienza degli omosessuali, intende giustificare l'omosessualità. Come Gesù non intendeva giustificare la prostituzione, quando accoglieva con amore e con misericordia le prostitute, o l'adulterio, quando ha perdonato all'adultera («Va’, e non peccare più»). Anche se i vangeli raccontano che ci fu chi, allora, lo credette e se ne scandalizzò. Ma forse, a giudicare dai grossolani equivoci in cui cadono, molti attuali interpreti delle posizioni di Papa Francesco i Vangeli non li hanno mai letti o, almeno, non ne ricordano bene il contenuto.