Dopo la ferma presa di posizione del Viminale e delle Prefetture, la protesta del movimento dei Forconi sembrava orientata verso una mera azione dimostrativa, animata con attività di volantinaggio e con la rinuncia dichiarata a gesti forti.
Ma se i «toni» in Sicilia risultano - almeno per ora - contenuti, e comunque circoscritti ai presìdi ed al volantinaggio, in altre parti d’Italia lo scontro è già più duro. È il caso dei blocchi autostradali, con conseguenti disagi alla circolazione, in Puglia e Sardegna. E sono partiti i blocchi ferroviari in Liguria. Molto più difficile appare invece la situazione in Piemonte, dove i manifestanti hanno preso d'assalto la sede della Regione, a Torino. La protesta, iniziata con bombe carta e pietre, è purtroppo degenerata nel lancio di bottiglie incendiarie del tipo Molotov. Ancora in Piemonte si registrano blocchi ferroviari e stradali, mentre risultano deserti mercati e fermate taxi.
Questa, per sommi capi, è la cronaca dei disagi e delle contestazioni nella prima giornata di protesta indetta dai Forconi e da altre sigle minori, cui si sono poi aggiunte frange ideologizzate come Forza Nuova e CasaPound ed alcune piccole organizzazioni, rappresentative di agricoltori e di imprenditori come, ad esempio, quella che si intesta la roboante missione di Movimento di liberazione nazionale del popolo veneto.
Che la protesta avesse ben poco a che vedere con le rivendicazioni degli autotrasportatori, era risultato chiaro con la dissociazione delle organizzazioni che rappresentano il 90% della categoria. La presa di distanza è motivata infatti dalla recente sottoscrizione di un protocollo con il ministero dei Trasporti piuttosto articolato e che ha indotto il ministro Lupi a ribadire che gli autotrasportatori oggi impegnati nella protesta «non hanno tra le loro ragioni nessuna richiesta presentata al governo che sia rimasta inevasa e che li giustifichi». Del resto, come anticipato dal Giornale di Sicilia di sabato 7 dicembre, il protocollo ministeriale soddisfa le rivendicazioni specifiche della categoria e non riguarda ovviamente i temi più generali, quali i rapporti con l'Europa e l'adesione all'euro, che hanno finito con il dare una connotazione politica ad una manifestazione apparentemente di tutela categoriale. Il protocollo sottoscritto appena dieci giorni fa, rifinanzia con 330 milioni di euro la riduzione del costo del gasolio; riforma il Comitato centrale per l'Albo degli autotrasportatori, ampliando la rappresentanza delle diverse sigle (tra le quali i Forconi) ed affidando allo stesso Comitato nuovi compiti per tutelare meglio gli interessi della categoria; unifica in capo ad una sola Autorità l'intero iter autorizzativo per l'accesso alla professione; contrasta i rischi di concorrenza sleale da parte di altri operatori europei che, pur operando nella legittimità, fruiscono di un sistema di costi molto più leggero di quello italiano; punta ad introdurre misure specifiche per contrastare le criticità del trasporto nelle isole maggiori; e principalmente rende obbligatorio entro 30 giorni il pagamento dei servizi di trasporto.
Insomma, detto con franchezza, gli autotrasportatori hanno portato a casa una serie di benefìci che farebbero fare salti di gioia a numerose altre categorie di operatori economici italiani. Per quanto invece riguarda i contenuti più generali della protesta, può essere utile qualche riflessione aggiuntiva. Dal punto di vista dei cittadini italiani, sarebbe difficile negare che alle «ragioni» della protesta si accompagnano i «torti» della politica; almeno negli ultimi dieci anni è infatti prevalsa una linea politica che ha platealmente ignorato i richiami dell'opinione pubblica, lasciando insoluti, quando addirittura non li ha ancor più aggrovigliati, nodi fondamentali come l'imponente debito pubblico, l'eccessivo carico fiscale e la questione delle riforme costituzionali o della legge elettorale; tanto per limitarsi ai titoli principali. Ne derivano effetti pesanti e talora distorcenti della realtà. In Italia il carico fiscale ad esempio è tracimante e per di più concentrato soltanto sui contribuenti che si conoscono; l'opprimente carico fiscale è stato finora l'unico strumento utilizzato per contenere la crescita del debito pubblico che però, continuando così, trasferisce sulle spalle delle generazioni future gli effetti dei «bagordi» delle generazioni passate.
In tutto questo, è tornato comodo a molti mettere nel mirino il «rigore tedesco» o le «oppressive» politiche europee di contenimento della spesa. Vero è che tanto, tantissimo si può fare tagliando la spesa pubblica ed ottenere effetti analoghi e migliori dell'aumento delle imposte, ma sembra miope spostare il baricentro delle responsabilità sull'Europa. La Comunità forse ci impone metodi duri, ma il debito di 2.100 miliardi di euro non lo ha generato certo Bruxelles! Faremmo bene ogni tanto a ricordarlo. Un'ultima notazione può avere come destinatari propri i cittadini italiani i quali sono spesso spettatori incolpevoli degli atti altrui, ma restano comunque titolari di una responsabilità soggettiva. Detto con una battuta, se le sorti del Paese si decidessero nei crocicchi dei bar o alle fermate del bus, l'Italia sarebbe indiscutibilmente un modello di efficacia e di efficienza. Purtroppo tante intelligenze (con il loro patrimonio di utili proposte) restano disperse nel mare grande del chiacchiericcio e solo di rado capita di osservarne l'aggregazione in grumi organizzati, più o meno grandi, più o meno strutturati, di analisi e proposte.
Insomma quello che serve è organizzare la disorganizzazione. Per quanto oggi possa suonare provocatorio, la Politica può essere infatti una esperienza bellissima e coinvolgente, per giovani e meno giovani. Né d'altra parte, nella storia dell'umanità si è mai appalesato un modello democratico alternativo e migliore. Anche perché quando sembrava che stesse accadendo, puntualmente si sono schiuse le porte del totalitarismo, della dittatura o della tirannia.
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