E violenza fu. Come temevamo. Esportata oltre i confini dell’Isola, dove il movimento dei Forconi è nato e dove per fortuna ha prevalso un generalizzato buonsenso, pur con qualche censurabilissima eccezione a Palermo. Non così invece altrove. Dalla Puglia alla Sardegna, dalla Liguria al Piemonte.
Evidentemente, al di qua dello Stretto, il pugno duro prospettato da prefetti e questori ha prodotto i frutti sperati, inducendo i manifestanti a evitare di mettere sotto assedio le città. Contrariamente a quanto successo in occasione della serrata di due anni fa, però, la delocalizzazione lungo tutto lo Stivale stavolta ha finito per assorbire variegate sacche di malcontento ed eversione, se è vero che negli incidenti verificatisi soprattutto a Torino un ruolo determinante lo hanno avuto alcuni gruppi scomposti di ultrà calcistici e di estrema destra. Che nulla hanno a che vedere con la ragioni degli autotrasportatori, ma che hanno insinuato il proprio ribellismo nelle maglie della loro vertenza di piazza per un mero desiderio di violenza, non si capisce bene contro cosa e chi. Ed è quello che purtroppo capita ormai sempre più spesso quando cortei e manifestazioni di massa sfuggono al controllo dei loro stessi promotori. Il precedente dello scorso 19 ottobre - solo l’ultimo in ordine di tempo, non certo l’unico - non ha insegnato nulla a chi non controlla più neanche la propria protesta. Fu un pomeriggio romano d’inferno, quando in occasione del corteo organizzato dai Movimenti per il diritto all'abitare contro l'austerità, nel mucchio finirono anche esponenti dei No Tav, dei No Muos, dei centri sociali e altre realtà antagoniste. Cosa che rese inevitabili disordini e scontri con le forze dell’ordine.
I Forconi ora rischiano di essere il nuovo avamposto della protesta raccogliticcia. Lo sappiano e se ne rendano conto, se non vogliono farsi complici di violenti e anarchici, interessati solo a disordini e caos più che a conquiste sindacali e richieste di categoria. E riportino la loro vertenza entro limiti di decoro e civiltà. In caso contrario finiranno nell’ormai lunga lista di sigle e siglette contro il cui ribellismo eversivo si rende sempre necessaria una strategia di ordine pubblico. Che prefetti e questori siciliani non a caso hanno già messo in campo.
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