Ci sono voluti dieci anni di negoziati per arrivare a un accordo - per giunta parziale e della durata di soli sei mesi- per tentare di fermare la corsa dell'Iran alla bomba atomica, ma l'inchiostro delle firme apposte al documento la notte scorsa a Ginevra non era ancora asciutto che sono cominciate le critiche: Il gruppo 5+1 (i membri permanenti del Consiglio di Sicurezza più la Germania) - sostengono israeliani, sauditi, molti parlamentari americani ed anche numerosi esperti di Medio Oriente - ha concesso troppo pur di non fare naufragare quella che era, forse, l'ultima possibilità di risolvere diplomaticamente questo interminabile braccio di ferro. In cambio di un parziale (ma simbolicamente importantissimo) allentamento delle sanzioni, che mette a disposizione di Teheran 6-7 miliardi di dollari finora congelati nelle banche di mezzo mondo e le consente di tornare a importare ed esportare un certo numero di prodotti, ha ottenuto soltanto un momentaneo stop all'arricchimento dell'uranio e dell'attività delle sue centrifughe, ma nessun reale passo indietro. Al massimo, abbiamo allungato di qualche mese il tempo di cui Teheran ha bisogno per passare da Stato «sulla soglia nucleare» a quello di potenza atomica. Inoltre, i sei sembrano avere riconosciuto agli ayatollah (le versioni delle due parti non coincidono, e questo è già un brutto segno) quel diritto all'arricchimento dell'uranio cui non erano disposti a rinunciare ad alcun costo, e che - nonostante tutte le limitazioni - lascia loro la possibilità, se tra sei mesi non si arrivasse a un accordo definitivo, diprocedere con i piani di riarmo. «È meno», ha osservato il politologo americano Bridges, «di quanto chiedevano le risoluzioni del CDS».
Obama e il suo segretario di Stato Kerry hanno cercato, naturalmente, di presentare questo accordo così faticosamente raggiunto come un grande successo della diplomazia americana, come il primo passo verso un accordo onnicomprensivo. Molte questioni, in effetti, sono rimaste aperte: le 19.000 centrifughe in possesso di Teheran non saranno per il momento smantellate, gli ispettori dell'AIEA dovrebbero essere ammessi agli impianti di Natanz e Fordow, ma non ad altri sospetti di essere coinvolti nel progetto, la costruzione del reattore ad acqua pesante di Arak, che potrebbe produrre plutonio ad uso militare subirà una battuta d'arresto, ma l'impianto non verrà né convertito né demolito come chiedeva, oltre a Israele, anche la Francia. Gli iraniani sono stati, una volta di più, negoziatori abilissimi, e il ministro degli Esteri Zarif ha giocato molto sul fatto che la «finestra» a sua disposizione per trattare, prima che i falchi del regime ostili ai negoziati blocchino tutto, era di pochi mesi. Gli occidentali, e in particolare gli americani, hanno invece puntato su un progressivo «ammorbidimento» del regime a mano a mano che la sospensione di circa un decimo delle sanzioni in vigore permetterà a Teheran di uscire dalla gravissima crisi economica in cui si dibatte: quando vedranno quanti vantaggi comporterebbe la loro totale eliminazione e la fine del boicottaggio del loro petrolio - è la tesi di Obama - tra sei mesi, quando si tratterà di concludere l'accordo definitivo, saranno molto più disponibili ad accettare le richieste del resto del mondo.
Esattamente opposto è il ragionamento degli avversari della intesa raggiunta. Per loro, allentare sia pure parzialmente le sanzioni senza avere ottenuto la certezza che l'Iran non sarà in grado di dotarsi della bomba è un errore madornale, sia perché consentirà agli ayatollah di rifiatare e guadagnare tempo, sia perché incoraggerà tutti coloro che sono ansiosi di riprendere gli affari con Teheran a eludere quelle rimanenti. L'inversione di tendenza, cioè, potrebbe essere fatale al seguito della trattativa. I più critici sono gli israeliani, per cui la bomba iraniana è una questione di vita o di morte, e che hanno definito Ginevra «un errore storico che rende il mondo più pericoloso». Ma altrettanto negative sono le monarchie arabe del Golfo, storiche rivali dell'Iran, che si sentono tradite dall'alleato americano e che hanno già minacciato di procurarsi a loro volta la bomba acquistandola dal Pakistan.
Insomma, gli accordi della notte scorsa sono senza dubbio lacunosi e pieni di incognite. Ma se le trattative fossero fallite ancora una volta, sarebbe resuscitata l'opzione militare: e almeno abbiamo guadagnato sei mesi per verificare se il regime, che ora ha la faccia dei moderati Rohani e Zarif, ma dipende sempre dalla volontà dell'Autorità suprema Khamenei, fa sul serio, o sta prendendo tutti in giro come ha fatto, negli scorsi anni, la Corea del Nord.