Centosette telecamere puntate sulle strade di Palermo. Centosette occhi elettronici che vigileranno giorno e notte per garantire la sicurezza, stradale e non. In una città che ha appena smesso di piangere sui corpi senza vita di un diciannovenne e una diciassettenne, ultime vittime in ordine di tempo di una catena di tragedie che ogni anno lascia in media una ventina di croci indelebili sull’asfalto. E in questi casi si finisce sempre per parlare di imprudenza, disattenzione, spregiudicatezza, inciviltà. Con una robusta dose di fatalismo davanti alla quale però non intendiamo in alcun modo rassegnarci.
Si tratta infatti di un alibi che va affrontato e spazzato via. Il mancato rispetto delle regole deve avere nella prevenzione e nelle repressione, non ci stancheremo mai di dirlo, il giusto e indispensabile contraltare. L’automobilista palermitano è indisciplinato, il motociclista anche di più. E allora è lì che bisogna agire. Sull’educazione stradale prima - a scuola, nelle parrocchie, nei circoli di quartiere, dovunque sia possibile farlo -, sui controlli dopo. Ben vengano dunque le telecamere, purchè queste non determinino una ancor meno capillare presenza di vigili urbani sulle strade. Perchè una multa a posteriori può anche dissuadere, ma spesso purtroppo il danno è già intanto stato fatto. E quel danno molto spesso sfocia nel dramma o addirittura nella tragedia. La giungla urbana a Palermo trova la sua massima espressione proprio nel traffico, fra parcheggi selvaggi e scooteristi incoscienti, automobilisti distratti e bulli al volante. Quelli che nel brivido della velocità o nei pochi minuti guadagnati spingendo un po’ più forte sull’acceleratore giocano la roulette russa della propria sorte. Non c’è un tempo e un’emozione oltre la vita. Sarà anche banale. Ma è una banalità che non macchia di sangue l’asfalto.
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