«Fossi un precario andrei a prendere a calci nel sedere quei politici e quei sindacalisti che hanno concorso a creare questo sistema (leggasi precariato) fatto di bugie, ricatti ed illusioni». Era in qualche modo nell'aria; prima o poi il tema del precariato - che i politici siciliani si limitano a trattare di proroga in proroga - sarebbe esploso. E se un ministro della Repubblica, Gianpiero D'Alia, ricorre ad una espressione non del tutto istituzionale, la misura è colma. O meglio gli spazi si sono chiusi, e forse definitivamente.
In Sicilia si è ritenuto per molto tempo che fosse possibile delegare al governo nazionale il compito di togliere le castagne (del precariato) dal fuoco. E la presenza di un ministro siciliano alla testa del dicastero competente sembrava a molti la situazione ideale per una felice conclusione della vertenza. Ma così non è stato; e non poteva essere. Ridotta all'osso la questione è questa: per potere stabilizzare i 18.500 precari utilizzati negli enti locali siciliani servono 300 milioni di cui i comuni non dispongono; dovrebbe quindi intervenire mamma Regione, ma Roma non ha concesso la deroga al patto di stabilità. Che cosa vuol dire? Regione, provincie e comuni in tutta Italia, Sicilia compresa, sono impegnati per legge dal 2002 a contribuire al risanamento della finanza pubblica nazionale, tagliando appunto le proprie spese; e se qualcuno avesse dubbi sulla natura sovranazionale di questo impegno, sappia che da quest'anno si usa l'espressione spese «eurocompatibili».
L'elenco delle spese che ogni anno possono essere effettuate in deroga al patto di stabilità sono oggetto ogni anno di una trattativa serrata tra Stato e Regione. Ebbene nell'ultima proposta inviata al Ministero dell'Economia da parte della Regione il 28 marzo 2013, non c'è traccia di alcuna richiesta di deroghe al patto di stabilità per quanto riguarda i precari degli enti locali. Questo il passaggio tecnico; in senso più generale va aggiunta un'altra considerazione. A sentire qualche esponente politico siciliano sembra quasi che ci siano tanti soldi nel cassetto e che solo una «stupida» norma euro-statale impedisca di spenderli. Ovviamente non è così, come dimostrano ampiamente il debito in crescita e l'impossibilità a reperire soldi per qualunque necessità. Del resto, «lo stato della finanza locale siciliana è fortemente problematico ed in progressivo peggioramento»; parole e musica della Corte dei Conti! Anche se qualcuno tende a sottacerlo, i comuni siciliani sono sovraccaricati di precari, ricevono sempre meno trasferimenti da Stato e Regione, hanno pochissime entrate proprie e dimostrano una sostanziale incapacità ad aggredire l'evasione fiscale nei territori di competenza.
Questo è lo scenario nel cui ambito dovrebbe trovare soluzione il tema incandescente dei 18.500 precari negli enti locali. Glissiamo sul fatto che lo Stato autorizza la stabilizzazione di precari soltanto per concorso e riservando comunque la metà dei posti a chi precario non è. La politica ci ha abituato a clamorose giravolte. Aspettiamo a vedere l'esito degli incontri annunciati tra Roma e Palermo. Intanto vediamolo nei numeri su che cosa poggia questo sistema di «bugie, ricatti ed illusioni» per dirla con il ministro D'Alia. L'Associazione dei comuni italiani nella sua consueta relazione (IFEL) ci dice che nei comuni siciliani lavorano 55.794 unità di personale. Come dire 11 impiegati comunali ogni mille abitanti rispetto ai 7 della media nazionale. I soli lavoratori flessibili (o precari) sono 13.676, un terzo in meno di quanto leggiamo nei giornali, ma si tratta di un diverso metodo di calcolo. In ogni caso siamo la prima regione con il 31% di tutti i precari d'Italia, pur rappresentando i siciliani appena l'8,3% della popolazione italiana. In complesso il personale dei comuni siciliani costa circa due miliardi di euro all'anno. Ma ciascuno di loro guadagna meno che nel resto d'Italia.
È sempre la stessa, vecchia storia: il pubblico assume molte più persone di quelle che servono ma spesso li sottopaga. In Sicilia infatti i dipendenti comunali sono il 52% in più della media italiana ma ricevono una busta paga con il 15% in meno dei «colleghi» nazionali. La stessa cosa accade per i dipendenti delle province siciliane (28% in più di numero e 10% in meno in busta paga); la stessa cosa accade con i dipendenti della Regione Siciliana, con gli insegnanti della scuola pubblica... e così all'infinito. Il primo politico che avrà la fantasia, il coraggio e la forza di avviare a soluzione questo problema si sarà conquistato di diritto uno scranno permanente e - c'è da credere - uno stipendio in deroga... a qualsiasi patto di stabilità.
In Sicilia troppi dipendenti pubblici
Siamo la prima regione con il 31% di tutti i precari d’Italia. Assunte molte più persone di quelle che servono e spesso sottopagate
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