L’Italia si allontana dall’Europa, il Mezzogiorno si discosta dall’Italia e la Sicilia si stacca persino dal Mezzogiorno; è questa la drammatica conclusione cui perviene l’annuale rapporto Svimez, presentato ieri a Roma. Il pregevole lavoro di indagine fotografa una situazione di grave degrado economico e sociale.
Ne viene fuori un Mezzogiorno a rischio desertificazione industriale, dove i consumi non crescono da anni, si continua a emigrare, il tasso di disoccupazione lievita, crescono le tasse, si tagliano le spese ed il livello di povertà delle famiglie tocca punte inimmaginabili. Secondo Svimez serve, insieme ad interventi di pronto soccorso, mettere mano subito a seri progetti di sviluppo. Uno sviluppo non più rinviabile.
Potremmo fermare qui la nostra cronaca, anche per risparmiare ai lettori la consueta mitragliata di numeri in negativo. Ma ora c'è un fatto emblematico; la Sicilia ha imboccato una deriva che la allontana velocemente persino dal degradato mezzogiorno. Il divario con il resto del sud non si misura più in frazioni di punto; ora i conti si fanno con i numeri interi e qualche volta con le cinquine. Se quindi le righe che seguono attengono in via esclusiva alla nostra Isola, questa scelta non è legata a vacue esigenze di campanile, quanto piuttosto alla drammatica consapevolezza che in Italia esiste ormai una grande malata; è la Sicilia. Se ne sono accorti Svimez, Censis, Istat, Banca d'Italia, il ministero per la Coesione Territoriale, la Confindustria ed altre parti datoriali; forse non se ne sono accorti in Sicilia, dove continua ininterrotto il trastullo delle poltrone, la strenua difesa dei privilegi acquisiti.
Il fenomeno che salta subito all'occhio e che dà il titolo persino al comunicato stampa Svimez è quello delle famiglie povere in Sicilia. Sotto i mille euro al mese vive, infatti, più di un milione di siciliani: il 20% delle famiglie dell'Isola. Sono tante, sono troppe? Giudichi il lettore. Nella media del Mezzogiorno le famiglie sotto i mille euro di reddito mensile sono il 14%, mentre nel centro nord si attestano appena al 5%. Il rapporto con la Sicilia, in questo caso, è di uno a quattro. La capacità di produrre ricchezza, dopo anni di contrazione continua, ha ormai toccato in Sicilia un livello da economia bellica: meno 4,3% in un solo anno. Nessun'altra regione italiana è caduta così in basso. Nel mezzogiorno la decrescita del PIL nel 2012 si misura con un meno 3,2%, mentre nel centro nord siamo esattamente alla metà della perdita di ricchezza registrata in Sicilia, ossia meno 2,1%. Negli anni della crisi, dal 2008 al 2012, la Sicilia ha subito una impressionante caduta dei consumi, che ha raggiunto il meno 19% nel vestiario e nelle calzature ed un meno 11,3% persino nei prodotti alimentari. Il tasso di occupazione, che tocca il 57% in Abruzzo, in Sicilia sfiora appena il 41%, mentre l'Isola ha visto ridursi i propri (già pochi) occupati di ben 38 mila unità nel solo 2012. Sono stati 114 mila i cittadini del mezzogiorno italiano che hanno lasciato la propria terra per trasferirsi nel centro nord; di questi 24 mila arrivano dalla Sicilia. Ma forse non è il caso di proseguire oltre in questa deprimente sventagliata di numeri e guardare invece a che cosa potrebbe modificare, in positivo, il trend discendente della Sicilia.
I tecnici di Svimez parlano di «driver» per indicare i motori di un possibile sviluppo. Essenzialmente sono tre le direttrici proposte: la rigenerazione del tessuto urbano con il rilancio delle aree interne, le infrastrutture di trasporto e di comunicazione ed infine le energie rinnovabili. Diamo per scontati i primi due punti, sui quali si è impegnata, in vero con modesti risultati, anche la programmazione siciliana dei fondi comunitari e rivolgiamo l'attenzione alle fonti energetiche rinnovabili, non senza però avere richiamato l'auspicio di Svimez perchè «a 150 anni dall'Unità d'Italia» si realizzi finalmente il rafforzamento e l'ammodernamento delle linee ferroviarie della Sicilia. Chissà se 150 anni «dopo» il tema entrerà in agenda.
Ma occupiamoci delle energie rinnovabili, dove i ricercatori Svimez ci riservano una sorpresa non da poco: la Sicilia non è affatto quella terra tappezzata da pannelli fotovoltaici e da pale eoliche come, con un certo pressappochismo, si tenta di contrabbandarci. In Sicilia Svimez conta 300 impianti eolici, mentre il solo Mezzogiorno ne conta 5.978; la Puglia del presidente Nichi Vendola ha 724 impianti eolici; in Puglia è attivo cioè un impianto eolico ogni 25 ettari, in Sicilia uno ogni 85 ettari. Forse dipende dal fatto che dopo decenni di annunci, il piano energetico regionale manifesta sempre più le sembianze di una fantasticheria. E dire che lo sviluppo delle fonti rinnovabili potrebbe favorire il conseguimento di importanti obiettivi energetici. Si pensi all'allentamento della dipendenza dell'Italia dalle importazioni di petrolio e gas naturale ed alla riduzione dei costi dell'energia, più alti del 30% rispetto alla media europea. «È proprio sul Mezzogiorno - afferma Svimez - che bisogna puntare per lo sviluppo delle fonti rinnovabili, in considerazione delle rilevanti potenzialità offerte da solare, eolico e biomasse»; a questo proposito può essere utile ricordare che gli impianti a bio massa della Sicilia sono appena lo 0,5% del totale italiano! Ma secondo Svimez bisognerebbe puntare anche sulla geotermia, che sfrutta il calore del sottosuolo per produrre energia. Anche con riferimento all'energia geotermica, infatti, il Sud presenta un forte vantaggio competitivo rispetto al resto del Paese, in quanto, oltre che in Toscana, le massime potenzialità si trovano in Campania ed in Sicilia. Chissà, forse l'Etna ci potrebbe dare una mano.
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