Contro la mafia la sola risposta militare dello Stato non basta. Servono anche comportamenti trasparenti e responsabili da parte della politica, ma da questo punto di vista non si è visto molto. La politica in tal senso non ha le carte in regola. Tanto sono stati efficaci negli ultimi trent’anni gli interventi repressivi altrettanto poco incisiva è stata la risposta dei partiti e delle istituzioni.
Il vertice sulla mafia che si è svolto a Caltanissetta è un fatto importante. E non è un'affermazione di rito. È un dato di realtà. A cominciare proprio dalla scelta geografica. In città, infatti, sono stati avviati alcuni dei processi più importanti che hanno segnato la battaglia contro i boss.
La Confindustria locale è stata la prima e la più rigorosa associazione imprenditoriale a schierarsi sulla frontiera della legalità. Al punto da aver espulso alcuni associati sospettati di essere collusi. Questi sono fatti e su questi bisognerà ragionare mettendo da parte eventuali colpi di coda fra schieramenti contrapposti. È chiaro infatti che la mafia abbia voglia di rialzare la testa dopo le bastonate degli ultimi anni. È dovere dello Stato impedirlo mettendo in campo tutti gli strumenti di cui dispone: mezzi, risorse, intelligenza.
Tutto questo, però, da solo non è sufficiente. La risposta militare non è la sola necessaria. Servono comportamenti trasparenti da parte della politica. Controlli, responsabilità, merito. Da questo punto di vista non si è visto molto. Tanto sono stati efficaci negli ultimi trent'anni gli interventi repressivi altrettanto poco incisiva è stata la risposta dei partiti e delle istituzioni.
Il numero dei boss arrestati è cresciuto in maniera esponenziale mentre è crollato quello degli omicidi. Un bilancio molto positivo che ha portato frutti copiosi: il risveglio della società civile, la rivolta di Confindustria, il successo di Addiopizzo.
Tutto è nato dall'efficacia dei metodi di contrasto da parte dello Stato. Purtroppo queste vittorie non sono state replicate sul fronte della riarticolazione politica e del dinamismo nella pubblica amministrazione.
Quasi che i successi militari rendessero meno urgente il contrasto alle altre emergenze. Non sono mutati altri meccanismi che invece andavano riformati immediatamente per arginare l'avanzata dei boss. Soprattutto nelle stanze dove si gestisce il potere reale. Tanto a Palermo quanto a Roma. La politica in tal senso non ha le carte in regola. Poco si è fatto in direzione della trasparenza e della responsabilità.
Le nomine pubbliche sono rimaste legate a criteri di affiliazione clientelare e non di merito. La burocrazia non è stata toccata perpetuando la sua condizione di inefficienza.
Un freno allo sviluppo anziché il motore, i controlli sempre scarsi e poco incisivi. Fortissima è stata la capacità di reazione dello Stato utilizzando la forza. Ha riaffermato la sua sovranità territoriale annientando le componenti che avevano assunto un ruolo eversivo, sfidando le istituzioni con la violenza. Assai più modesta, per non dire inesistente, l'azione di bonifica dei meccanismi di funzionamento della macchina pubblica. Ed è proprio su questi snodi che la mafia si è nascosta per sopravvivere e, possibilmente, diventare più potente. Ed è proprio adottando strumenti di controllo e di trasparenza che lo Stato potrà impedire la resurrezione.