Si è sentita poco la voce dell’opposizione nel coro di critiche che ha accompagnato l’approvazione della legge di stabilità. Hanno parlato tutti: sindacati, Confindustria e vari gruppi d’interesse con le lobby che li rappresentano.
Ben poco però dal Movimento Cinque Stelle e dalle formazioni minori che non appartengono alla maggioranza che sostiene Letta. Eppure di motivi per contestarlo non ne mancano. A cominciare dall'impostazione di fondo che contraddice le dichiarazioni pubbliche del presidente Letta e del vice presidente Alfano. Non è affatto vero che la manovra non contenga nuove tasse. Ce ne sono molte, invece, neanche tanto dissimulate. A cominciare dal gioco di prestigio sulla casa per cui scompare l'Imu sostituita da nuove imposte. Cambia il nome ma non la sostanza. Anzi, c'è un peggioramento perché, a conti fatti, ci sarà un appesantimento piuttosto consistente. Dall'altra parte però, non ci sono tagli di spesa accettabili. Nulla comunque di paragonabile a quello che aveva fatto Monti. L'unico finora che, pur tra molte prudenze, ha cercato di ridurre gli sprechi della pubblica amministrazione. Eppure non dovrebbe essere così complicato.
La Sanità è stata tenuta indenne con la solita scusa che non si può fare macelleria sociale. Eppure è difficile pensare che su 112 miliardi di dotazione del fondo sanitario non ci sia nulla di superfluo da eliminare. Che non debba essere così difficile lo conferma l'esperienza del San Raffaele di Milano. Un'istituzione di assoluta eccellenza portata al disastro dalla megalomania del suo fondatore. Investimenti faraonici in attività lontane dall'ospedale. L'intervento della nuova proprietà è stato molto lineare. Ha tolto di mezzo tutti gli eccessi della vecchia gestione. Inoltre ha tagliato del 25% i costi alberghieri e delle forniture per alcuni strumenti medicali. Così ha contenuto le spese: nessun fornitore è fallito, nessun degente si è lamentato, la struttura ha mantenuto i profili di eccellenza che l'hanno caratterizzato fin dalla fondazione. Però sono stati risparmiati quei cinquanta milioni che servivano per riportare in equilibrio il bilancio. La domanda a questo punto è semplice: se c'è riuscita in un solo anno la sanità privata perché lo stesso modello non è replicabile in quella pubblica? La risposta è molto semplice: perché i dirigenti delle Asl non rispondono a logiche economiche ma a impulsi politici. Il loro merito non viene misurato sulla capacità di curare in maniera efficiente i malati ma le clientele dei loro padrini. Ma perché i contribuenti devono farsi carico di questo fardello che con la salute non ha niente da spartire? Opponendosi agli interventi sul sistema sanitario la Casta vuole solo difendere le proprie clientele. Per questo anche l'opposizione tace.