Il governo regionale muove una pedina importante sul tavolo dell'economia siciliana, con l'intento di dare scacco alle lungaggini procedurali ed al relativo corollario, fatto di interessi, intrallazzi, fallimenti e persino rinunce, per non dire del contrasto implicito all'arrivo di capitali stranieri. L'idea del governo è semplice (LEGGI QUI L’ARTICOLO); consentire, con il meccanismo del silenzio-assenso, il rapido avvio delle attività economiche.
Il confronto con il resto del Paese può risultare illuminante, utilizzando a tal fine una indagine della Banca d'Italia. Per l'avvio di un’impresa, ad esempio, sono necessari 27 giorni in Sicilia e 9 giorni nel nord-ovest; per il rilascio di una concessione edilizia sono sufficienti 356 giorni nell'Italia centrale, mentre in Sicilia servono quasi venti mesi in più.
Nel computo delle «burocrazie» l'indagine inserisce anche i tempi della giustizia; e così mentre per risolvere una controversia giudiziale sono necessari addirittura cinque anni nel nord-ovest, in Sicilia bisogna aggiungere, a questa tempistica non certo favorevole, altri cinque mesi. Ma se poi proviamo a convertire in quattrini le lungaggini temporali, allora la sorpresa diventa preoccupante; il costo della soluzione della controversia, infatti, può portarsi via una fetta consistente del valore dell'oggetto della controversia stessa. Facciamo il caso, ad esempio, che una banca sia obbligata a recuperare l'importo mutuato per l'acquisto di una casa, le cui rate non siano state onorate. Scopriamo che con questa operazione se ne va in fumo, ovviamente a carico del creditore, il 33% del valore dell'immobile nella media del Paese ed addirittura il 49% in Sicilia.
Ebbene le spese necessarie a chiudere un’impresa incidono in Sicilia per un quinto abbondante (22%) del valore residuo dell'impresa, mentre nella media dell'Italia centrale è sufficiente, per così dire, sacrificarne appena il 10%.
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