La vigorosa stretta di mano, con contorno di sorrisi, occhiolini e parole sussurrate alle orecchie, ha esaurito i suoi balsamici effluvi in soli 4 giorni. La fiducia conquistata da Letta in Parlamento con la decisiva regia di Alfano sembrava aprire pacifiche corsie al governo chiamato alla decisiva volata delle riforme.
E invece ci si torna ad accartocciare sulle sorti di Berlusconi. Con Letta e il Pd in coro che proprio non resistono alla tentazione di sventolarne lo scalpo, stuzzicando le sensibili suscettibilità di Alfano e del Pdl tutto. A che pro? Ancora una volta si devia su strade senza uscita, lasciando la via maestra. Quella cioè lungo la quale gli italiani restano speranzosi spettatori - con alte percentuali di disillusioni - di un processo di cambiamento del quale lo stesso premier ieri ha ribadito le fondamenta: meno tasse, più tagli alle spesa pubblica. Territorio ancora vergine, sul quale sarebbe bene spingersi con decisione. Insieme e in comunione, se non ideologica quanto meno d’intenti. E senza giochetti di prestigio dietro cui nascondere sostanziali immobilismi. Non è il momento di decidere se, chi e cosa ci si lascia alle spalle. Lasciamo agli storici la valutazione di vecchi e nuovi ventenni. La politica di governo ha altri ruoli e altri fini. Servono nuove strategie per il rilancio del Paese. Serve ridurre la pressione fiscale. Serve sforbiciare la faraonica spesa pubblica. Senza nascondere eventuali incapacità dietro la cortina fumogena delle beghe partitiche.
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